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giovedì 5 marzo 2009

Val Calanna


Era il 1979, allora esisteva ancora una valle sull’Etna, per gli abitanti di Zafferana Etnea, quel nome dice ancora tanto.
Sotto il Monte Calanna esisteva la valle omonima, fertilissima con sorgive d’acqua, quasi una beffa per un paese che ha avuto l’acqua razionata per decenni,
Lasciai la vecchia R6 nel piazzale da dove iniziava il sentiero che tra muri a secco e ginestre fiorite saliva alla valle.
Lo zaino militare allacciato e il tascapane a tracollo in cui era avvolto in un sacco di iuta “u bummulu” ancora vuoto ma che già mi sentivo il sapore dell’acqua che da li a una mezzora avrei bevuto fuoruscita dal forellino tenuto chiuso da una frasca di ferula, quanti sapori si perdono? E questo è uno di quelli, come fai a descrivere il sapore dell’acqua di sorgiva che è stata dentro u bummulu, come il sapore del coniglio selvatico che speravo di mangiare quella sera, cotto alla brace lentamente per un paio di ore con braci di castagno e frasche secche di macchia odorosissima, certo un po’ di vino ci sarebbe stato da Dio ma quella era una vacanza per lo spirito non per il corpo.
Arrivato all’ultima salita rallentai il passo per godermi la vista improvvisa un leggero vento mi portava i profumi della valle e appena misi il piede nel costone un silenzio assordante mi avvolse, durò pochissimo ma come le cose improvvise ti colpiscono dentro e ti restano per sempre, prima il canto cauto di un pettirosso, seguito dal fresco e gioioso suono dell’usignolo e poi tutti gli altri in un concerto che fa da sottofondo alla vera vita.
Oltrepassai i frutteti e mi diressi a Nord verso la bolla sorgiva li c’era una “casedda” diroccata che utilizzavo come accampamento.
Poste le poche cose preparai la trappola per il coniglio, la piazzai ad alcuni centinai di metri tra i rovi, lì dove si innalzava il muro della colata lavica, di quale anno?
Poi andai a riempire u bummulu e seduto su uno sgabello di ferula bevvi dal filo d’acqua che da esso fuoriusciva, vera acqua della vita.
Raccolsi la legna e le frasche sia per la notte che per la cottura,era un’azione di buon augurio altre volte avevo passato la serata con un po’ di pane e qualche frutto preso dagli alberi do Zu’Stranu.
Apri lo zaino e tirai fuori il sacco a pelo lo stesi e con la con la coperta messa su mi addormentai.
Un canto di un cardellino vicino quasi all’orecchio mi svegliò, mi stiracchiai, un sorso d’acqua e mi avviai verso la trappola, non c’è bisogno di vedere per sapere se il tuo trucco abbia avuto successo lo senti ancor prima di vedere.
Nella trappola c’era un coniglio, un saittuni grigio che cercava in tutti i modi di liberarsi, lo presi per le orecchie e poi per i piedi lo uccisi così come avevo imparato dal nonno, un colpo secco dietro la nuca, lo pulì scuoiandolo utilizzando il fil di ferro un ramo d’albero e il mio coltello a serramanico.
Queste azioni venivano fatte non senza un ringraziamento e un rispetto per l’animale morto, mio nonno mi spiego come si dovesse omaggiare l’essere che con la sua morte ci dava il cibo, non parole o azioni ma stato d’animo e silenzio, solo il silenzio è la vera musica di rispetto per la morte.

1 commento:

  1. Posso solo dire BELLISSIMO!!!
    Sei un uomo eccezionale,lo imparo ogni giorno di più.

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