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mercoledì 25 marzo 2009

Gioello - Galileo



«Gioielli di oreficeria e di scultura, non c’è che dire - continuò il telescopio - ma io li ho messi tutti fuori gioco. Pezzi d’antiquariato. Via, torniamo al mio essere pendolo. Idealmente, io oscillo verso il passato più profondo. Quando il Costruttore ha accostato la sua pupilla al mio oculare, è tornato ai giorni della Creazione. Ha visto le cose come sono uscite dalle mani di Dio, e come nessun altro, da allora, le aveva mai ponderate. La Luna gibbosa di depressioni e monti, tanto simile alla Terra. Le fasi di Venere. Le macchie sul volto, tutt’altro che perfetto e incorruttibile, del Sole. Propaggini misteriose sul corpo di Saturno. Ha avuto la prova che l’universo è uniforme, coerente, omogeneo. Aristotele fantasticava, parlando di un livello terreno, che cova in cuore il tarlo del mutamento, e di un piano sublime, stellare, dove tutto rimane eterno, identico a sé. Il Principio - Dio, e sia ben chiaro, il Costruttore non l’ha mai messo in dubbio - ha lavorato con la provvidenza della logica. Con il regolo del matematico. Che meraviglia! Ha avvolto tutto nel tempo razionale, nell’oscillazione isòcrona del pendolo. Ma poi io torno a presente, e mi protendo al futuro. Vedì, su quel soffitto della sala, le immagini della Luna riprese dai telescopi Hubble? Milioni di volte più poderosi di me. Ma senza di me, non ci sarebbero. Io sono il primo anello del nuovo cielo. Il punto di non ritorno. Il passo avanti».

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