SOLO QUELLI CHE SONO COSI' FOLLI DA PENSARE DI CAMBIARE IL MONDO, LO CAMBIANO DAVVERO (A.Einstein)

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mercoledì 20 maggio 2009

LE CIME DI LAVAREDO


(di Lorena B.G.)
SECONDA PARTE
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Solo che all'improvviso apparve anche un "terzo incomodo". Il cellulare.
Non aveva mai squillato anzi non si era mai "mosso". Lo teneva così senza suono sul comodino, solo con la vibrazione, ma aveva l'orecchio sempre pronto a cogliere il più piccolo movimento. All'inizio sembrava quasi che non esistesse, nessuno aveva mai chiamato. Poi comiciarono sempre più spesso e sempre più spesso le nostre vacanze diventarono brevi e sempre più spesso venivamo di rado. La sua lontananza ormai era una realtà e i periodi si allungarono. Non chiedevo niente. Solo i suoi occhi che mi guardavano facevano immaginare tante cose.
Non osavo domandare: ogni volta che avevo provato non avevo avuto risposta. Non capivo! era come se il suo silenzio fosse stato lì per proteggermi.
A casa mentre aspettavo che mi chiamasse o mi mandasse un messaggio avevo preso l'abitudine di cercare notizie delle Dolomiti. Soprattutto delle Cime di Lavaredo che tanto lo affascinavano, cercavo di cogliere la sfumatura della bellezza, il segreto di quella montagna.
In genere mi piace camminare, ma farlo in montagna è diverso. Mi aveva convinto però così senza fatica solo descrivendomi come si sentiva quando era su quei sentieri: l'aria fresca che gli accarezzava il viso, le narici che la respiravano, gli occhi che si nutrivano della natura e la bellezza di quei posti, la testa che per qualche ora non doveva pensare a cose importanti.
All'inizio avevo avuto problemi con le scarpe: sono abituata a scarpe comode, preferisco da tanto tempo comprare le Geox stile mocassino, sono comode, un po' fredde d'inverno per la verità, ma ci sto benissimo. I tacchi solo nelle grandi occasioni e mi sembro buffa. E poi se devo essere femminile riesco ad esserlo anche con le scarpe basse. Avevo cominciato con le scarpe da ginnastica, e andò abbastanza bene per qualche giorno. La sera tornavo in camera con le gambe che mi facevano male. Quelle passeggiate che adoravo erano lunghe per un "animale" di città che cammina poco. Pierre con la sua pazienza mi faceva sdraiare e poi cominciava piano piano a massaggiare le caviglie e i polpacci. Le prime due notti ebbi i crampi, molto dolorosi. Non riuscivo a dormire. La mattina ci alzavamo ed ero io che insistevo per andare a camminare....non posso stare ferma, altrimenti non riuscirò mai a superare questi problemi....la sera ancora daccapo con i massaggi. Dopo qualche minuto però dai massaggi si passava alle carezze e forse era per questo che i muscoli erano sempre in tensione. Poi piano piano mi misi gli scarponi da montagna e a parte le prime vesciche finalmente riuscii a portare a termine le mie camminate.
Che pazienza! L'uomo più paziente che avevo conosciuto. Non so quanto tempo c'è voluto per arrivare al primo rifugio, ma considerando tutti i giorni impiegati per arrivare a mettermi gli scarponi, quel giorno fu una festa.
Se ripenso a quel periodo mi vedo come una donna petulante, brontolona che si lamentava ad ogni passo: o c'erano i sassi o era scivoloso o c'erano le mosche o troppo sole o le scarpe non andavano bene.
Partivamo la mattina presto dopo colazione. I primi due giorni bevevo solo un caffè d'orzo non riuscivo a mangiare, poi l'aria o la compagnia piacevole cominciai a prepararmi mezzo panino con la marmellata, poi uno intero con burro e marmellata e alla fine della settimana erano sempre due o tre panini. L'aria fresca mi accarezzava le guance, camminavo dietro a lui: era più svelto di me. Aveva un modo di fare sicuro deciso come se conoscesse quei posti benissimo. Poi un giorno mi confidò che voleva fare una scalata. Rimasi senza parole. Ma una scalata ha bisogno di una persona esperta e finora non mi aveva mai detto di essere un esperto rocciatore. Il pomeriggio, il famoso pomeriggio dell'acquisto del "sasso", era andato a cercare una guida che lo accompagnasse. Voleva prendere d'assalto la Cima Grande e a mia insaputa aveva studiato un percorso nuovo con più difficoltà degli altri già battuti.
Nei due giorni successivi assistetti ai preparativi di scarponi, corde, picchetti e non so che altro materiale c'era per terra. Il tutto si ridusse poi ad uno zaino. Mi sembrava che avesse svaligiato un negozio e poi all'improvviso sparì tutto dentro questo sacco che non sembrava poi sulle sue spalle nemmeno tanto pesante.
Ero sempre più allibita, scoprivo cose che non sapevo, ma comunque orgogliosa di quello che faceva. L'unica cosa che però mi sarebbe piaciuto era vederlo ridere più spesso.
La mattina presto partirono. Li accompagnai per un pezzetto poi lo salutai e rimasi lì a guardare che sparivano.
...seguimi con il cannocchiale se puoi e vuoi....
Guido, la guida. Mi faceva ridere, io che pensavo che tutti quelli che scalvano le montagne avessero dei nomi strani e invece la guida si chiamava semplicemente Guido.
.....Guido te l'affido...pensai fra me e contemporaneamente risi.....anche la rima sono stata capace, invece di stare qui ora a preoccuparmi fino a quando non ritorna. Sono tranquilla. Tranquilla o incosciente?...
Però ripensandoci ero tranquilla, perchè era Pierre che mi rendeva sicura.
Sapeva sempre quello che faceva e se c'ero io non si esponeva mai troppo e non rischiava.
Ritornai in albergo e il proprietario non so se di sua iniziativa o perchè gliel'aveva detto Pierre mi dette un binocolo e poi mi disse che nel solarium c'era anche un cannocchiale se volevo vedere tutto quanto.
Non potevo essere trattata meglio, mi sentivo una principessa: lui non c'era eppure aveva pensato anche a me. Stetti lì tutto il giorno a guardare quella montagna: mi sembrava spietata con la sua roccia così ripida.
La sera mi ritrovai sola a tavola. ...Chissà come è stato bello il tramonto lassù stasera...e alzai il bicchiere in un brindisi....Buonanotte a domani....
Il pomeriggio tardi del giorno dopo ritornarono. Non domandai niente i suoi occhi parlavano e stavano ridendo.
L'euforia di quella scalata lo rese particolarmente loquace nei giorni successivi. Guido cominciò sempre più spesso a stare con noi, naturalmente quando non doveva portare i turisti in qualche escursione.
Scoprii che sapeva giocare a scacchi ed ecco che cominciarono anche le loro partite. Alcune riuscivano a finirle velocemente altre venivano lasciate in sospeso e ricominciavano quando ritornavamo in albergo la volta dopo.
Si mostrò un grande amico, e qualche volta ero gelosa, ma durava poco: Pierre era troppo felice di poter fare quelle cose che io non sapevo fare.
Durante le loro partite presi l'abitudine di leggere, mi portavo sempre dietro in valigia qualche libro, tanto sapevo che sicuramente per qualche ora sarebbe stato il mio "compagno".
Scalate, partite a scacchi e discussioni cui qualche volta partecipavo anch'io. Un magnifico trio e le cime delle Dolomiti erano una cornice perfetta. Sembrava che niente potesse offuscare quest'atmosfera.
Poi cominciarono a telefonare e Pierre preparava la valigia in fretta e partiva. Al'inizio mi diceva che ritornava subito, poi cominciò a ritardare.
Mi mandava un sms per dirmi che le cose erano complicate e non poteva muoversi. Allora pagavo il conto dell'albergo e me ne andavo. Rimanevo sempre di più con l'amaro in bocca per qualcosa che non si era concluso.
Poi finalmente un giorno mi spiegò perchè doveva lasciarmi così all'improvviso.
(continua....)

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