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mercoledì 29 luglio 2009

IL GHEPARDO



(di Lorena B.)

SECONDA PARTE

(continua....)


......Altri uomini di colore uscirono saltando dai camion: sembrava che guardassero e si muovessero anche loro come un branco.
Il ghepardo, che non aveva mai visto né uomini né camion fu molto incuriosito da questa novità che turbava il normale equilibrio della sua "casa", ma non spaventato: aveva un carattere molto orgoglioso e l’unica cosa di cui aveva veramente paura era la fame.
In poche ore i quattro uomini avevano catturato molte specie di animali: li avevano colpiti da lontano con qualcosa di lungo che faceva uno strano rumore. Non si muovevano quasi: camminavano soltanto lentamente e quando vedevano qualche esemplare che andava bene si fermavano, alzavano i fucili e sparavano: da lontano. L'animale si accasciava quasi subito dopo aver fatto pochi passi, ma a differenza di quando lui o gli altri felini cacciavano non usciva sangue dai corpi. Che tipo di caccia era questa? Era così strana: nessuna corsa, nessuna zampata per togliere la vita, non uno sguardo agli occhi atterriti della preda sotto di lui che stava morendo e che non capiva il perchè. Dove era il divertimento?
Gli altri uomini, che erano venuti con i quattro, appena l'animale cadeva nella polvere si affrettavano allora a prenderlo sulle spalle e lo portavano verso i camion dove veniva caricato e rinchiuso in gabbie. Una per ogni bestia a seconda della grandezza.
Cominciò a preoccuparsi: stavano succedendo cose che non capiva.
La sua inquietudine si trasformò in rabbia quando vide che, insieme agli altri animali, caricavano anche sua madre. Con furore scese con un balzo dall’albero, dove era salito per vedere meglio, e si nascose nuovamente nell’erba alta. Come aveva fatto con il branco di zebre, così fece per quello degli uomini: scelse il più debole e lo attaccò. Il malcapitato fu l’uomo basso e tarchiato che venne ucciso.
Nacque un trambusto terrificante. Gli uomini cominciarono a sparare contro il ghepardo.
...Prendilo, John!... disse l’uomo con i baffi.
Ad un certo punto, tra gli spari, si udì un guaito disperato. Il ghepardo si volse e vide sua madre a terra, in una pozza di sangue.
... Maledizione, John! Dovevi prendere il maschio!...sentì dire da qualcuno.
Il ghepardo cercò di fuggire, ma gli uomini riuscirono a sparargli una siringa piena di sonnifero. Una volta addormentato, venne caricato su un camion e trasportato lontano dalla sua savana, in una città che aveva uno zoo. Quando si svegliò, non ricordò niente, ma si ritrovò in una gabbia di pochi metri quadrati, nella quale riusciva a malapena a fare due passi. Cominciò a soffiare e a camminare avanti e indietro cercando di rompere le sbarre a unghiate e a morsi, inutilmente!
Ad un certo punto arrivò un uomo; l’animale capì che quell’esemplare non faceva parte del gruppo che precedentemente l'aveva attaccato nella savana. Ma si trattava pur sempre di un uomo e il ghepardo aveva imparato che di quella specie non ci si deve fidare. Fra felini si rispettavano: nessuno dava "noia" a nessun altro gruppo, ciascuno non sconfinava mai una volta che avevano segnato il loro territorio. Ma adesso era diverso: che razza era questa che oltre al suo "cibo" aveva portato via anche il "cacciatore"?Cominciò a soffiare più forte, assumendo un atteggiamento minaccioso.
L’uomo rise....Ehi, bello! Calmati, tanto non vai da nessuna parte, ormai! ...
Tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto un piccolo taccuino e aprì una pagina.
....Sei un duro?.... Fece un lieve fischio ad un inserviente dello zoo.... Se non si calma...dieci cc di sonnifero…
Ora il ghepardo era veramente infastidito da quei gesti: gli occhi iniettati di sangue guardavano l’uomo, soffermandosi all’altezza della gola; i muscoli si contraevano sotto il pelo corto e lucente; aveva estratto le unghie, che luccicavano al sole; le orecchie dritte, che si muovevano al minimo rumore; il naso era arricciato e dalla bocca aperta si potevano scorgere denti affilati come rasoi. Come era potuto succedere che da cacciatore era diventato preda? Quale sorte gli sarebbe toccata? Non riusciva a capire: non si ricordava che fosse mai successo a nessuno degli altri suoi fratelli.
...Acc... fece l’uomo, sarcastico... Mi fai proprio paura! Ma qui il capo sono io, non dimenticarlo!...
Detto questo lo lasciò solo. L’animale non smise, però, di soffiare fino a che non sentì più il minimo rumore. Quando si sentì sicuro che nessuno sarebbe passato di là senza che lui non lo avesse sentito, si sedette e pensò ad un’eventuale via d’uscita.
Divenne così aggressivo che nessun inserviente poteva avvicinarsi. In risposta, ricevevano unghiate che procuravano ferite profonde.
Anche il ghepardo, però, fu picchiato duramente e anche dalle sue ferite sgorgava in abbondanza il sangue.
Ormai la ricerca di una via di fuga si faceva disperata. L'animale però non riusciva mai a dimenticare il sapore della libertà: cacciare nella sua savana era il ricordo più nitido: dentro di sè c'era forte la sensazione di potenza che sentiva quando catturava la preda, quando correva in mezzo all'erba, quando la mattina si svegliava e annusava l'aria carica di odori, quando sceglieva il suo "pasto" e il cuore cominciava a battere forte e l'adrenalina scorreva nelle vene.
La carne invece che buttavano dentro la gabbia aveva un sapore e un odore strano: mangiava solo per non morire di fame e continuare a pensare alla libertà.
Alla fine decise per un ultimo tentativo: si nascose dietro il tronco che era stato messo nella sua gabbia per ricreare un po’ l’ambiente e aspettò l’arrivo dell’inserviente che veniva a portargli il cibo. L'uomo arrivò e il ghepardo scattò in avanti afferrandolo alla gola. Non rimase per vedere se aveva veramente ucciso la sua vittima, non era il suo cibo in quel momento: voleva solo fuggire.
Attraversò la stretta porticina rimasta aperta, verso la libertà.

(continua....)

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