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mercoledì 29 luglio 2009

IL GHEPARDO


(di Lorena B.)

TERZA E ULTIMA PARTE

L'uomo arrivò e il ghepardo scattò in avanti afferrandolo alla gola. Non rimase per vedere se aveva veramente ucciso la sua vittima, non era il suo cibo in quel momento: voleva solo fuggire. Attraversò la stretta porticina rimasta aperta, verso la libertà.
Là vicino c’era una stazione ferroviaria: lì arrivavano i vagoni con gli animali destinati allo zoo e il ghepardo decise di rifugiarvisi per passare la notte. Ne trovò uno che aveva la porta scorrevole socchiusa. Si addormentò in un angolino nascosto dietro ad alcune casse, ma il suo sonno fu agitato: sognò di rivivere il momento dell’arrivo dei camion, l’uccisione di sua madre fino alla sua cattura. Prima di addormentarsi si leccò le zampe che avevano aggredito l'uomo e il sapore del sangue gli piacque: era un tipo che non aveva mai assaggiato prima. Sentì scorrere dentro di sè una forza nuova come se con quelle poche gocce avesse assorbito la linfa di chi l'aveva catturato. Si sentiva un uomo! L'essere più potente che lui avesse conosciuto, perchè era riuscito a prenderlo e portarlo via da casa sua. C'era stata fra loro una lotta a chi fosse il più forte: era stato picchiato, umiliato con cibo già morto, ferito e non curato, ma alla fine lui aveva vinto il suo nemico. Non si era fermato a guardare se fosse morto, è vero, ma sentiva che l'aveva fatto: si sentiva invincibile. La prima battaglia era stata vinta. Ora doveva riuscire ad arrivare nella sua savana senza essere catturato ed ucciso, perchè questa volta l'avrebbero fatto di sicuro.
Nuovamente si leccò la zampa. Quel sangue...quel sangue lo faceva pensare. Non voleva trasformarsi nel suo nemico, ma se gli fosse servito per capire e scappare, allora accettava anche di essere in parte uomo.
Improvvisamente un forte fischio lo svegliò dai suoi pensieri. Alzò il muso, il naso fremente ad annusare. C’era un trambusto assordante fuori dal vagone. Il ghepardo spiò dalla porta semichiusa: il paesaggio era completamente diverso! Arretrò spaventato. Voleva uscire, esplorare quel mondo nuovo ma si fermò: non poteva, c’era troppa gente… Sarebbe uscito quella notte.
Quando fu buio, infatti, saltò giù dal vagone nella stazione deserta e la cosa che lo colpì di più fu la quantità di odori che sentiva nell'aria. Udì uno squittio e si avventò su un ratto che attraversava i binari. Aveva patito troppo la fame per dare ascolto al suo orgoglio che avrebbe voluto catturare prede ben più grandi.
Ricominciò ad annusare, ma percepiva solo odori sconosciuti. Ad un tratto si fermò.... c’era un qualcosa che conosceva: il profumo della sua savana! Era vicino, era felice, ma l'odore non era così forte come sempre. Ma lo conosceva.... era casa sua, non poteva abbandonarlo. Si sentiva in parte uomo, ma era ancora un ghepardo, un animale in cerca della sua casa. E voleva ritornarci. Cominciò ad inseguire quell’odore, come in un sogno. Riuscì a non perderlo mai; perfino quando dormiva rivolgeva il muso in quella direzione perchè rimanesse anche nel sonno.
Passò così i giorni e le notti, senza mai cedere alla stanchezza.
E mentre la scia che seguiva diventava sempre più forte e il paesaggio più familiare, continuava a pensare di esserci riuscito, perchè era diventato come il suo nemico... ma perchè allora rimaneva un ghepardo? Aveva sostituito il suo istinto con il pensiero, aveva programmato ogni sua mossa in ogni sentiero percorso. Si era nascosto per non farsi catturare, aveva imparato a scivolare per rubare il cibo che trovava nei villaggi senza che gli uomini stessi si accorgessero della sua presenza....
Si ricordava il gusto del sangue che aveva assaggiato quando aveva ucciso l'inserviente. Ogni tanto rileccava le zampe per ritrovare quel sapore, ma ormai era scomparso. E intanto era arrivato ai piedi di una collinetta. Aveva un aspetto molto familiare, quella collinetta; il ghepardo era ormai stremato da tanti giorni di cammino, ma si costrinse a scalarla.
La prima cosa che vide da lassù furono due gnu che combattevano fra loro. Guardò più a destra e vide un gruppo di leonesse che dava la caccia ad un branco di gazzelle. E branchi e mandrie sparsi dappertutto. Sembrava che fosse rimasto tutto come lo aveva lasciato. Oltre la collinetta c’era una ripida discesa. La stanchezza sparì come d'incanto. Corse giù più veloce di come lo era mai stato, come solo i ghepardi sanno fare. Era tornato a casa, nella sua savana.
E mentre correva in mezzo all'erba, in mezzo ad un branco di gazzelle che si sparpagliarono veloci....cadde! Rotolò nella polvere. Rimase lì immobile a terra: non capiva cosa era succeso nessun ghepardo cade, non c'erano sassi o impedimenti tali perchè questo dovesse succedere. Sentì prima un piccolo dolore poi il caldo di qualcosa che scendeva lungo il fianco della pelliccia.
Guardò e vide con stupore il suo bel mantello macchiarsi di rosso, di sangue rosso.
...Cosa è successo? E' il sangue dell'uomo che vuole uscire? Come io non stavo bene nella gabbia anche lui non vuole più stare dentro di me?...... Ma se mi abbandonerà non riuscirò più a pensare come lui, ritornerò un ghepardo e basta!...
E mentre gli occhi cominciavano ad annebbiarsi vide avvicinarsi due uomini di colore con i fucili in mano.
Capì.
...Perchè lo avete fatto, perchè avete ucciso un vostro simile? Io sono un uomo dentro la pelle di un ghepardo.....
Ma dalla sua bocca uscì solo l'ultimo ruggito, che diventò un rantolo: sembrava l'ultimo disperato grido per non morire, per rivivere ancora quella sensazione di animale libero.
L'uomo, il suo nemico, nelle vesti di due cacciatori di frodo, lo aveva vinto. Lui aveva ucciso un uomo e un uomo si era vendicato togliendo anche a lui la vita. Aveva percorso centinaia di chilometri per tornare a casa e correre e cacciare in mezzo agli animali che conosceva.
Voleva sentire nuovamente il suo cuore battere mentre si preparava a lanciarsi sulla sua preda. Desiderava cambiare il sapore del sangue dell'uomo che lo aveva accompagnato fino a lì con quello delle prede che avrebbe ucciso. Morì così nella sua savana, senza capire il perchè e si sentì come uno di quei cuccioli che lui cacciava per mangiare.

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