ROMA (8 agosto) -
Duemilatrecento soldati uccisi in battaglia o massacrati a freddo, 1.500 morti nell'affondamento delle tre navi che li portavano nei lager: fu così che quella della Divisione Acqui si trasformò nella peggiore strage compiuta dai militari tedeschi ai danni degli italiani nella Seconda Guerra mondiale. Dopo l'8 settembre '43, il generale Antonio Gandin, comandante della Acqui, cercò in ogni modo di trovare una strada che consentisse di salvare al tempo stesso l'onore - rifiutando il disarmo - e la vita dei suoi «figli di mamma», evitando una battaglia che giudicava persa in partenza. Le trattative con i tedeschi proseguirono fino alla notte del 14 settembre quando Gandin chiese direttamente ai suoi soldati cosa volessero fare. Scelsero di «combattere, piuttosto di subire l'onta della cessione delle armì», come disse nel 2001 Carlo Azeglio Ciampi, secondo cui Cefalonia fu «il primo atto della Resistenza, di un'Italia libera dal fascismo». I bombardamenti degli Stukas cominciarono la mattina del 15 settembre. Il 22 la Acqui si arrese. La vendetta tedesca fu spietata e senza alcuna giustificazione. Testimoni raccontano di fucilazioni di massa di prigionieri. Gandin fu fucilato il 24 settembre, insieme al suo Stato maggiore. Molti cadaveri furono bruciati e gettati in mare. A questa strage corrisponde uno dei più clamorosi casi di giustizia negata: a 66 anni dai fatti l'unica condanna resta quella a 12 anni inflitta dal tribunale di Norimberga al generale Hubert Lanz, che ne scontò solo tre. In Italia, nel 1957, il giudice istruttore militare assolse alcuni ufficiali italiani, accusati di aver fomentato nella truppa la rivolta contro i tedeschi, circostanza che avrebbe portato al massacro. Nel 1960 furono assolti anche diversi ufficiali tedeschi: una decisione su cui - secondo la maggioranza degli storici - pesò la volontà politica del governo italiano di non ostacolare il processo di ricostruzione della Germania e delle sue forze armate in un periodo in cui la Nato ne aveva bisogno. Nel 1964 venne aperta un'inchiesta anche in Germania, in seguito a materiale fornito da Simon Wiesenthal, il cacciatore di nazisti, ma la procura di Dortmund quattro anni dopo archiviò. Quelle stesse indagini furono riaperte nel settembre 2001: l'attenzione venne concentrata sull'operato di sette ex ufficiali della Wehrmacht. La posizione di uno di questi, il sottotenente Otmar Muhlhauser, capo del plotone di esecuzione che fucilò Gandin, venne stralciata: gli atti passarono alla procura di Monaco che nel settembre 2007 dichiarò prescritto il reato a carico dell'imputato, non trattandosi - secondo il magistrato - di un omicidio aggravato, ma semplice. L'8 marzo 2007 anche la procura di Dortmund ha archiviato l'inchiesta aperta nel 2001 a carico degli altri sei ex ufficiali tedeschi. Dopo queste archiviazioni le figlie di due delle vittime di Cefalonia, Marcella De Negri e Paola Fioretti, hanno presentato un esposto alla procura militare di Roma (che non aveva ritenuto di avviare nuove indagini dopo il ritrovamento del fascicolo su Cefalonia nell'armadio della vergogna, perchè il fatto era stato già giudicato) chiedendo di riaprire l'inchiesta, cosa che poi è avvenuta. Il 2 gennaio 2009 è stato chiesto il rinvio a giudizio nei confronti del solo Muhlhauser e, il 5 maggio, si aperta l'udienza preliminare, rinviata a novembre per accertare le condizioni di salute mentale dell'imputato. Muhlhauser, però, l'1 luglio è morto nella sua casa in Baviera.
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domenica 9 agosto 2009
CEFALONIA,LA MATTANZA DELLA DIVISIONE AQUI:3.800 MORTI SENZA GIUSTIZIA
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