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martedì 16 febbraio 2010

I Curiani


Oggi andando in ufficio odoravo l'aria di Torino, era ancora buio e il gelo aveva coperto i vetri delle macchine obbligando a dar mano di raschietto.
Ma torniamo all'aria una puzza di bruciato di non ben inedificabili sostanze, un miscuglio nauseabondo e meno male che ieri aveva anche nevicato.
Il mio cervello mi riportò ai profumi che sentivo in questo periodo quando ero ragazzo.
Gli odori brutti erano quelli dello stallatico che veniva sparso nei campi.
Mentre fantastici erano gli odori che le potature di ulivi e delle viti diffondevano nell'aria.
Ma anche l'odore della terra smossa che dalle mie parti avveniva ancora a forza di braccia con attrezzi che risalivano a epoche passate, zappe e "zappuni"; era questo lo strumento principe del bracciante a giornata.
Questi venivano chiamati da mio Nonno e da mio Padre "Curiani", non so bene da dove deriva questo termine, forse dal fatto che tanti latifondi nelle nostre zone erano in mano alla chiesa e quindi alle Curie, ma non ho trovato riscontri su questa ipotesi.
Il Curiano nella mia immaginazione era un fenotipo ben preciso, scarsa intelligenza, forza sproporzionata ma indolenza atavica.
Quasi un deriva parallela dell'evoluzione, la sua rozzezza era anche nel cibo di cui si nutriva, cipolle crude pane e vino, e a questo bisognava fare molta attenzione poiché non riusciva a trattenersi e se il datore di lavoro faceva l'errore di metterne a disposizione troppo, ti ritrovavi con la mano d'opera ubriaca e il lavoro non finito a fine giornata.
Mi ricordo quando uno di essi un po' brillo, mentre scalzo portava a compimento la sua mansione di preparare la vigna per l'estate con la così detta "rifunnuta", scambiò il suo pollicione che usciva dal monticello di terra, per la testa di una vipera e si tronco l'alluce con un colpo di zappuni. O quanto spinto da un bisogno corporale dopo aver mischiato uva e fichi d'india durante la vendemmia non riuscì ad appartarsi in tempo e lasciò una pista di un color marroncino chiaro lungo il filari di vite.
Era uso dai proprietari della vigna far mangiare i fichi d'india prima di iniziare la vendemmia, questo per evitare che poi i braccianti si servissero dell'uva ben più preziosa, infatti la combinazione dei due frutti dà un risultato, diciamo, dirompente.
Ma avvolte in queste famiglie venivano fuori dei fiori inattesi.
Uno di questi colpì così tanto le fantasie di un mio fraterno amico che fu veramente dura dissuaderlo dallo dichiararsi in casa del così detto giglio.
Ma questa è una storia che mi riprometto di raccontare un'altra volta.

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