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mercoledì 24 marzo 2010

GIBRAN parte quinta (2)


(continua....)


E' il semplice verbo DONARE.


Donare senza riserve senza limiti senza pensieri solo con il cuore senza chiedere niente, ma anche senza che venga chiesto niente. Dare se stessi senza rendersi conto di farlo, così spontaneamente. Perché nel momento della presa di coscienza non era più istintivo e naturale e allora diventava un peso e si dirigeva inevitabilmente verso la fine.

Il pensiero di tutto questo fu come un lampo accecante. Quando si rese conto di questa mancanza cominciò a soffrire, un leggero dolore che non avrebbe più voluto sentire. Ma che le fece male come se il rapporto fosse durato anni.

Eppure i loro pochi incontri fatti solo di minuti ritornarono prepotentemente nella sua mente davanti scorrevano come li stesse rivivendo ancora. Non aveva mai ricordato nulla di quegli attimi ma adesso erano lì passavano secondo per secondo e... come era lungo ogni secondo che guardava! Quante volte gli aveva chiesto di stare insieme di vedersi per qualche ora. Il suo rifiuto, il rimandare continuamente: era questo che le aveva fatto capire che lui non sapeva cosa voleva dire DONARSI.

No, lei non era brutta, anzi..... i loro desideri erano sempre stati rapidi in quei pochi attimi che si erano incontrati: si ritrovavano subito abbracciati con mezzi vestiti addosso lei seduta nell'angolo del tavolino e lui fra le gambe di lei estasiato.

Però... però... non era mai stato lui per primo ad offrirsi, spontaneamente, solo perché lo desiderava.

Lei ripensava a quei momenti quei rari momenti chiesti voluti e poi alla fine le erano stati concessi come fosse stata un'elemosina. Ecco perché non aveva accettato un rapporto così, ecco perché adesso sentiva questo dolore così forte che cresceva dentro di lei.

Perché chiedere quello che avrebbero dovuto, ma soprattutto voluto offrirsi reciprocamente?

Cominciò a piangere. A distanza di tempo sfogò tutta la sua rabbia la sua impotenza, ma anche la frustrazione che adesso sentiva per un rapporto in cui avrebbe potuto dare molto, tutta se stessa, e non le era stato permesso.

Gli altri uomini che aveva avuto anche se per poche ore le aveva regalato qualcosa. Il suo "vecchietto" con il quale non si vedeva più ormai da tanto le aveva dato una parte di sé sempre senza chiedere niente, e i loro ricordi erano i più belli che potesse conservare dentro il suo cuore.

Perché Gibran non le aveva concesso più tempo per loro due per imparare a conoscersi non per studiarsi ma per assimilarsi in pace e tranquillità? Perché sempre di fretta come un ladro che ha paura di essere scoperto o come un uomo che ha paura di mettere radici o di essere incastrato in una relazione che poi aveva cercato lui fin dall'inizio? Eppure avrebbero potuto non nascondersi: erano soli tutti e due: nessun impegno sentimentale con altre persone, liberi di vedersi alla luce del sole.

Ricordava la prima e l'unica volta che avevano mangiato insieme, frettolosamente con l'orologio in mano. Per lei mangiare con qualcuno significava un momento di relax in cui si chiacchiera e si scherza, invece si era sentita seduta sulle spine dei rovi più dure che poteva conoscere. Spine che le erano entrate nella carne, lui che parlava parlava parlava in continuazione. Parole parole parole... lettere messe insieme a formare parole, ma l'assemblaggio non aveva portato alla costruzione di niente. Discorsi che dopo un po' riusciva a capire dove erano diretti ma che poi non avevano sostanza come se le idee si fossero divise in mille rigagnoli e a fatica poi defluivano in un torrente.

Avrebbe voluto un po' di tempo. Semplicemente un po' di tempo.

Aveva pensato a loro due in camera a fare un picnic sul letto coperti semplicemente dal lenzuolo.

Dei semplici panini niente di complicato, ma mangiati così insieme da soli senza il chiasso di un bar. Un boccone e un'occhiata verso l'altro e poi ridere e parlare senza pensare a cosa c'era fuori della porta.

E poi la parte migliore della loro intimità sarebbe arrivata con le carezze di un massaggio.


(continua....)

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