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mercoledì 17 marzo 2010

GIBRAN parte quarta (2)


(continua....)

Telefonò al suo "vecchietto"..... "Vorrei vederti, se puoi."

Si incontrarono al solito posto, solito albergo. Questa volta la camera la 105 era di un livello superiore. Quando entrò rimase a bocca aperta. Era bellissima: color crema e giallo oro: delicato sia il rivestimeno del letto e dei mobili, così anche la tappezzeria alle pareti e le tende. In un angolo un televisore enorme: all'ora di pranzo sicuramente avrebbero visto il telegiornale: lui non lasciava mai passare l'ora senza sentire le notizie che poi avrebbero commentato insieme come d'abitudine. Anche le altre volte le camere dove erano stati alloggiati erano molto belle, ma questa le superava tutte. Si sentì al settimo cielo. Non avevano problemi di soldi e non avevano mai risparmiato ma entrando in quella camera dopo tanto che non si vedevano le sembrò di essere una regina. La baciò prendendole il viso fra le mani. I vestiti finirono presto sul divano o sulle poltrone. Le vennero in mente le coppie che in viaggio di nozze cercano di passare dei giorni indimenticabili con piccoli lussi ed extra per rendere tutto più romantico. A lei dispiacque però il prezzo più alto del solito. Non si vedevano da un mese circa e non ci furono attimi per riflettere. In camera fu tutto meraviglioso, un crescendo. E lui le dimostrò quanto lei era importante.
Pensò a quanto stupidamente aveva preso in considerazione un rapporto con Gibran.
Il suo amante non aveva mai parlato fuori luogo: ogni parola era sempre stata un fatto, carica di sensazioni, significati ed emozioni.
Esisteva un attaccamento particolare: ma continuava a non chiamarlo amore. Era solo un uomo pragmatico concreto nel suo offrirsi. Era realtà, una realtà che lei non chiedeva ma che le veniva data così semplicemente.
Quei pochi minuti invece che lei aveva trascorso con Gibran non erano nemmeno un tradimento, non esistevano e basta. Spesso dopo essere stati insieme si era chiesta se li aveva vissuti veramente. Non un attimo per capire non un istante da memorizzare solo un soffio di vento fra l'entrata e l'uscita. La fretta era solo questo che lei ricordava. Nessun sapore nessun odore nemmeno le mani di lui che la spogliavano. Come poteva essere successo che non le era rimasta addosso nessuna sensazione?
Continuava a chiedersi che uomo fosse.
Decise di chiudere. Non le aveva mai dato niente in sentimenti in tempo ma soprattutto nessuna emozione. Il suo ego era egoismo puro: pensava solo a se stesso, a soddisfare i propri bisogni nel lavoro nel piacere della lettura nel considerarsi qualcuno, ma senza un confronto ogni uomo è nessuno!
Leggeva studiava, ma a cosa gli servivano quelle pagine di giornali o di libri che bulimicamente ingeriva tutti i giorni ?
Una volta avevano parlato di devianze e lei gli aveva fatto capire che qualsiasi psicologo o sociologo studia questo aspetto della personalità per catalogare la normalità. La sua risposta le fece capire che non sapeva nemmeno di cosa stavano parlando. Adesso pensava al suo comportamento come ad una devianza.
"Ti chiamo dopo...." cosa significava per lui? Niente! non si ricordava sicuramente nè che l'aveva detto nè che forse si erano parlati al cellulare. Non l'aveva mai richiamata.
Aveva cominciato ad accusare un dolore in mezzo al petto: le veniva sempre quando c'era qualcosa che non andava bene. La sua vocina interna le diceva di stare attenta, che era in pericolo. E con l'esperienza cercava di perdere meno tempo possibile e subito togliere dalla sua vita quello che avrebbe potuto farle male.
Con il suo "vecchietto" non aveva mai avuto dubbi: emanava una sicurezza tangibile fatta di gesti di parole di carezze. Si sarebbe potuta affidare a lui ciecamente perchè non c'erano problemi: in caso di pericolo lui l'avrebbe salvata. Se si fosse dovuta buttare dall'ultimo piano di un palazzo in fiamme gli avrebbe messo le braccia intorno al collo perchè sarebbero atterrati in piedi sul marciapiede. E lui l'avrebbe stretta a sè per proteggerla. Con il tempo tutto questo era diventato certezza e il confronto degli ultimi due mesi con Gibran glielo aveva fatto capire.
Gibran non le aveva mai dato niente solo parole vuote senza consistenza senza futuro senza amore.
Aveva cominciato a scrivere un nuovo racconto: c'era un amico scrittore con il quale ogni tanto parlava. Era prezioso le dava dei buoni consigli, la chiamava PANTERA e le diceva sempre che lui non aveva paura delle donne come lei. Parlavano scherzavano, ma la loro lontananza non influiva sul rispetto che lei aveva per la sua opinione. Affrontarono anche questo argomento e lui fu molto crudele, almeno lei pensò così, quando lesse la parola con la quale lui aveva definito Gibran "...lascialo stare.... è uno stronzo."
"Arrabbiati, se lo merita!" le disse questo, alla fine della conversazione.
Ma il suo carattere, che lei aveva imparato a domare, non glielo permetteva più.
Affrontava ogni situazione con calma tranquillità ma soprattutto lucidità. Sviscerava ogni singolo pezzetto del problema, andava a cercare l'angolo nascosto per scovare l'ultimo granello di polvere, ma soprattutto voleva parlare capire per se stessa in modo da non lasciare in sospeso niente, nessun dubbio fra lei e l'altra persona.
Non aveva voglia di corteggiarlo per provare a riavvicinarsi. Il suo egoismo la sua stupidità il sentirsi offeso il suo silenzio e.... lei non sapeva per cosa... cosa avrebbe potuto aggiungere a tutto questo? Già! la cosa più importante quello che gli aveva detto subito.... ERA UN UOMO VUOTO.

(continua....)

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