SOLO QUELLI CHE SONO COSI' FOLLI DA PENSARE DI CAMBIARE IL MONDO, LO CAMBIANO DAVVERO (A.Einstein)

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lunedì 22 marzo 2010

GIBRAN parte quinta (1)


"Mi chiamo Ciprian...Sì.... Ciprian!" le disse. Quel nome così all'improvviso non se l'aspettava! ecco che alla mente le si affacciò un altro nome che le aveva provocato mille e mille sensazioni... GIBRAN.

Come erano simili e nel sentirlo sussurrare lei aveva colto soltanto la similitudine. La voce era diversa gradevole molto calma. Un tipo tranquillo niente a che fare con il caos fisico dell'altro. Ma cosa stava pensando...! Quel nome le aveva ricordato troppe cose salutò in fretta e andò via.

Un nodo alla gola cominciò a farsi strada, gli occhi si inumidirono: dovette mettersi gli occhiali e fermarsi davanti ad una vetrina per far passare quel nodo alla gola.... quel ricordo. Ma non passò.

Ripensò a qualche mese prima a quei pochi episodi che erano accaduti, ma soprattutto a tutto quello che Gibran le aveva dato per riflettere.

La cosa più crudele di tutta quella storia era che non aveva mai provato dolore. Non un guizzo nella sua mente di quello che era successo. Pensava che come non mai aveva capito cose che forse in altri momenti non ci avrebbe fatto caso. La sua era la consapevolezza di chi aveva "vissuto" accanto ad una persona e, solo dopo, aveva visto quello che era sempre stato insieme e dentro di lui. Si sarebbe aspettata almeno un lampo di un pensiero doloroso, cancellato nell'attimo della sua nascita, ma non era così. Non aveva mai avuto un moto di collera nei confronti di Gibran, anzi le sembrava quasi di averlo difeso e scusato nel suo comportamento. Le faceva pena: sembrava un bambino capriccioso, ma soprattutto si rendeva conto che lui non conosceva se stesso, non si era mai guardato dentro. Aveva portato avanti per anni pensieri che a lui sembravano comandamenti e si era convinto che non potesse esserci niente di meglio. Nel momento che però era venuto in contatto con lei e con quello che era, si era frantumato il suo mondo. Il parlare molto ma poi fuggire di fronte a regole non scritte, quelle di un rapporto vero da costruire, l'aveva così terrorizzato che non c'era nessuna giustificazione per la sua fuga?

Provava una sensazione di impotenza, ma non personale, una sensazione che sentiva su di lui come uomo che non riesce ad affrontare se stesso e le sue paure ed è per questo che scappa.

A occhio e croce, a ben guardare, doveva ammettere la sua "inferiorità", la debolezza di lui. Non riusciva ad essere cattiva di fronte al suo persistente silenzio lei non aveva reagito non lo aveva cercato. Aveva rispettato la sua "decisione", se qualcuno voleva chiamarla così, di questo gioco infantile e stupido di punirla.

Si nascondeva perché lei soffrisse della sua assenza? ma così non faceva altro che confermare il suo VUOTO emotivo ed intellettuale.

Fin dal primo istante aveva pensato a lui come al protagonista del libro "Il deserto dei tartari".
Aveva più volte "visto" il suo deserto i suoi mostri la sua aridità le sue manie le sue idee ossessive. Le poche oasi che apparivano erano così rare e distanti fra loro come spazio e come tempo che scorgerne una era diventato veramente un miraggio.

Quante cose avrebbero potuto conoscere insieme, a quali traguardi meravigliosi sarebbero potuti arrivare.

INSIEME per e a costruire quel famoso "percorso" che lui tanto desiderava!

Lui non aveva dato la possibilità di provare, aveva troncato tutto prima che nascesse qualcosa.
I suoi gesti le sue parole i suoi silenzi. Continuava a non capire il suo comportamento.

Lei aveva parlato di un "noi", di stare insieme, di iniziare a discutere su cose importanti.

Ma quello che non aveva mai avuto da lui era stato il tempo.

Il tempo per conoscersi per capire per guardarsi per confrontarsi.

Fin dall'inizio lei non aveva accettato questo rapporto fatto di niente, ma alla fine aveva sofferto. Non avrebbe voluto che succedesse perché si era resa conto che nel suo VUOTO mancava la cosa più importante, quella che dovrebbe sempre essere presente in un incontro fra due persone sia nell'amore ma anche nell'amicizia.

E' il semplice verbo DONARE.


(continua...)

venerdì 19 marzo 2010

GIBRAN parte quarta (3)


(continua....)

Non aveva voglia di corteggiarlo per provare a riavvicinarsi. Il suo egoismo la sua stupidità il sentirsi offeso il suo silenzio e.... lei non sapeva per cosa... cosa avrebbe potuto aggiungere a tutto questo? Già! la cosa più importante quello che gli aveva detto subito.... ERA UN UOMO VUOTO.


Vuoto.... aridità.... come un deserto dove non nasce niente come un luogo dove le uniche cose che lei scorgeva erano le figure mostruose delle sue paure. Una volta aveva letto un racconto dove questi mostri uscivano fuori all'improvviso dalla sabbia per mangiare ed uccidere chi si avventurava in quel pezzo di territorio. Ma lei non aveva paura stava passando in quel deserto ma i "blemmi" non erano comparsi. Avvertiva la loro presenza, la voglia di divorarla di spezzarla di domarla. Ma lei era più forte più lucida dominava i suoi stati d'animo. Pensava alle classiche frasi che spesso vengono dette... in amore chi è più forte vince! Qui non si trattava di vincere niente. Non si sentiva in un campo di battaglia. Non era un confronto o un braccio di ferro.
Quel "noi" continuava a non esserci e senza questa presenza come poteva Gibran pensare di affrontare il famoso "percorso"?
Nella sua vita si era costruito uno spazio chiuso dove entrava solo quello che voleva lui: la musica i soliti amici nessuna donna qualche libro. La politica era diventata marginale.
Si compiaceva di stare bene da solo di non avere problemi a vivere una vita così, e allora cosa significava per lui il "PERCORSO"?
Non l'aveva mai spiegato, diceva solo che bisognava costruirlo!
Ma su quali basi se loro due in quei giorni non aveva più nessun contatto nemmeno telefonico?
Lei non era una donna a disposizione! Capiva e sapeva che la loro vita si svolgeva su tempi diversi su piani costruiti nel tempo, ma bastava un po' di buona volontà e si sarebbero potuti incontrare ogni tanto.
Il VUOTO... era solo questo che percepiva ogni volta che pensava a lui.
Se lei avesse scritto questa storia e qualcuno l'avesse letta "... ecco..." avrebbe detto "... lei non è innamorata di Gibran ma del vecchietto!... fa tutte queste storie solo per questo motivo!..." Aveva pensato anche a questo. No, non era così: il suo amante era prezioso per lei, era una presenza che le riempiva la vita, ma non era amore non lo era per tutti e due. Sapevano perfettamente che sarebbe potuta finire in qualsiasi momento e in qualsiasi momento c'era la cruda realtà di un distacco doloroso dove nessuno dei due avrebbe saputo cosa fosse successo all'altro.
Non augurava a nessuna donna di vivere con questo pensiero.
"Non ti sposerò mai... non farò mai 70 km per vederti... non voglio basare questo rapporto sul sesso.... io sto bene da solo... io ho scopato tanto.... questa storia finirà come finiscono tutte le storie..." cos'altro aveva detto insistentemente in continuazione ogni volta che si erano parlati?
Queste erano le basi per costruire il "percorso". Non si ricordava che lui avesse mai accennato ad altro e se lo aveva fatto era stato in maniera così nascosta che non se n'era mai accorta.
Ma soprattutto... perchè aveva dovuto chiedere a Gibran di stare insieme? perchè lui non voleva incontrarla per qualche ora? perchè cercare di avere qualcosa che sarebbe stato naturale e spontaneo ricevere?
Risposte fatte di parole vuote che non avevano nessun significato.
Quanti uomini si comportavano così, ma anche quante donne avrebbero sopportato tanto a lungo.
Stavolta avrebbe chiuso senza problemi: la prima volta c'era stato un ripensamento, la voglia di dare a questo rapporto una seconda opportunità, ma era stato uno sbaglio.
Non scomodò il suo poeta: non volle cercare nè pensare qualche rima che andava bene.
Non ne aveva bisogno. Lei ci sarebbe sempre stata se lui avesse avuto voglia di parlare, ma come "stampella" NO! non era questo il suo ruolo.
Soprattutto non lo avrebbe più chiamato Gibran, ma avrebbe usato il suo nome.
Il suo vero nome.

mercoledì 17 marzo 2010

GIBRAN parte quarta (2)


(continua....)

Telefonò al suo "vecchietto"..... "Vorrei vederti, se puoi."

Si incontrarono al solito posto, solito albergo. Questa volta la camera la 105 era di un livello superiore. Quando entrò rimase a bocca aperta. Era bellissima: color crema e giallo oro: delicato sia il rivestimeno del letto e dei mobili, così anche la tappezzeria alle pareti e le tende. In un angolo un televisore enorme: all'ora di pranzo sicuramente avrebbero visto il telegiornale: lui non lasciava mai passare l'ora senza sentire le notizie che poi avrebbero commentato insieme come d'abitudine. Anche le altre volte le camere dove erano stati alloggiati erano molto belle, ma questa le superava tutte. Si sentì al settimo cielo. Non avevano problemi di soldi e non avevano mai risparmiato ma entrando in quella camera dopo tanto che non si vedevano le sembrò di essere una regina. La baciò prendendole il viso fra le mani. I vestiti finirono presto sul divano o sulle poltrone. Le vennero in mente le coppie che in viaggio di nozze cercano di passare dei giorni indimenticabili con piccoli lussi ed extra per rendere tutto più romantico. A lei dispiacque però il prezzo più alto del solito. Non si vedevano da un mese circa e non ci furono attimi per riflettere. In camera fu tutto meraviglioso, un crescendo. E lui le dimostrò quanto lei era importante.
Pensò a quanto stupidamente aveva preso in considerazione un rapporto con Gibran.
Il suo amante non aveva mai parlato fuori luogo: ogni parola era sempre stata un fatto, carica di sensazioni, significati ed emozioni.
Esisteva un attaccamento particolare: ma continuava a non chiamarlo amore. Era solo un uomo pragmatico concreto nel suo offrirsi. Era realtà, una realtà che lei non chiedeva ma che le veniva data così semplicemente.
Quei pochi minuti invece che lei aveva trascorso con Gibran non erano nemmeno un tradimento, non esistevano e basta. Spesso dopo essere stati insieme si era chiesta se li aveva vissuti veramente. Non un attimo per capire non un istante da memorizzare solo un soffio di vento fra l'entrata e l'uscita. La fretta era solo questo che lei ricordava. Nessun sapore nessun odore nemmeno le mani di lui che la spogliavano. Come poteva essere successo che non le era rimasta addosso nessuna sensazione?
Continuava a chiedersi che uomo fosse.
Decise di chiudere. Non le aveva mai dato niente in sentimenti in tempo ma soprattutto nessuna emozione. Il suo ego era egoismo puro: pensava solo a se stesso, a soddisfare i propri bisogni nel lavoro nel piacere della lettura nel considerarsi qualcuno, ma senza un confronto ogni uomo è nessuno!
Leggeva studiava, ma a cosa gli servivano quelle pagine di giornali o di libri che bulimicamente ingeriva tutti i giorni ?
Una volta avevano parlato di devianze e lei gli aveva fatto capire che qualsiasi psicologo o sociologo studia questo aspetto della personalità per catalogare la normalità. La sua risposta le fece capire che non sapeva nemmeno di cosa stavano parlando. Adesso pensava al suo comportamento come ad una devianza.
"Ti chiamo dopo...." cosa significava per lui? Niente! non si ricordava sicuramente nè che l'aveva detto nè che forse si erano parlati al cellulare. Non l'aveva mai richiamata.
Aveva cominciato ad accusare un dolore in mezzo al petto: le veniva sempre quando c'era qualcosa che non andava bene. La sua vocina interna le diceva di stare attenta, che era in pericolo. E con l'esperienza cercava di perdere meno tempo possibile e subito togliere dalla sua vita quello che avrebbe potuto farle male.
Con il suo "vecchietto" non aveva mai avuto dubbi: emanava una sicurezza tangibile fatta di gesti di parole di carezze. Si sarebbe potuta affidare a lui ciecamente perchè non c'erano problemi: in caso di pericolo lui l'avrebbe salvata. Se si fosse dovuta buttare dall'ultimo piano di un palazzo in fiamme gli avrebbe messo le braccia intorno al collo perchè sarebbero atterrati in piedi sul marciapiede. E lui l'avrebbe stretta a sè per proteggerla. Con il tempo tutto questo era diventato certezza e il confronto degli ultimi due mesi con Gibran glielo aveva fatto capire.
Gibran non le aveva mai dato niente solo parole vuote senza consistenza senza futuro senza amore.
Aveva cominciato a scrivere un nuovo racconto: c'era un amico scrittore con il quale ogni tanto parlava. Era prezioso le dava dei buoni consigli, la chiamava PANTERA e le diceva sempre che lui non aveva paura delle donne come lei. Parlavano scherzavano, ma la loro lontananza non influiva sul rispetto che lei aveva per la sua opinione. Affrontarono anche questo argomento e lui fu molto crudele, almeno lei pensò così, quando lesse la parola con la quale lui aveva definito Gibran "...lascialo stare.... è uno stronzo."
"Arrabbiati, se lo merita!" le disse questo, alla fine della conversazione.
Ma il suo carattere, che lei aveva imparato a domare, non glielo permetteva più.
Affrontava ogni situazione con calma tranquillità ma soprattutto lucidità. Sviscerava ogni singolo pezzetto del problema, andava a cercare l'angolo nascosto per scovare l'ultimo granello di polvere, ma soprattutto voleva parlare capire per se stessa in modo da non lasciare in sospeso niente, nessun dubbio fra lei e l'altra persona.
Non aveva voglia di corteggiarlo per provare a riavvicinarsi. Il suo egoismo la sua stupidità il sentirsi offeso il suo silenzio e.... lei non sapeva per cosa... cosa avrebbe potuto aggiungere a tutto questo? Già! la cosa più importante quello che gli aveva detto subito.... ERA UN UOMO VUOTO.

(continua....)

martedì 16 marzo 2010

GIBRAN quarta parte (1)


Erano di nuovo daccapo!
Dopo un rapporto frettoloso dove lei gli aveva chiesto tre quattro volte di stare insieme qualche ora per coccolarsi e parlare, Gibran era sparito nuovamente. Aveva trascorso un fine settimana a mandare sms.... nessuna risposta. Le sue frasi "...mi sei mancata... senza te sono stato male...." a chi erano state dette qualche giorno prima?
Le parole! Era alle solite. Parole vuote senza significato dette solo per aprire bocca. Eppure sembrava che lui avesse capito che lei era diversa, che aveva bisogno di essere conquistata di avere fiducia in un uomo. E allora? Perchè metteva in atto ancora i suoi soliti schemi fissi? Il comportamento era quello di chi non ha fantasia: un uomo che considera ogni donna uguale ad un'altra.
Ecco, in ogni rapporto lei non aveva mai fatto paragoni fra persone. Ma considerava ognuno degno di essere conosciuto e accettato come era, perchè completamente differente da un altro. Mentre lui era troppo rigido con le sue regole con i suoi gesti. Generalizzava ogni persona, non si sforzava assolutamente. Forse era troppa fatica cercare uno schema nuovo? Non cambiava e non voleva capire di comportarsi in maniera diversa con lei. Continuava insistentemente a seguire una strada, quella che a lei non era piaciuta dall'inizio e che l'aveva tenuta distante. Aveva provato a dirgli "ti amo" con l'illusione che lui cambiasse che si avvicinasse di più, ma la sua lontananza era tale che anche con tutta la buona volontà lei non riusciva a scorgerlo da nessuna parte. Si sentiva sola in una bolla che poteva scoppiare in qualsiasi momento: era stata messa lì dove lei non voleva stare. Le mancava l'aria: perchè doveva vivere quel rapporto assurdo e stupido fatto di niente?
Lei aveva sempre pensato che in una coppia si dovesse parlare di un "noi". Parolina di tre lettere semplice corta di facile comprensione, soprattutto un concetto così infantile anche se di una complessità unica e irripetibile.
Ogni "noi"... solo nella sua storia, nel vivere l'amore, nel rapporto fra due persone.
Ritornò con il pensiero all'ultimo fine settimana: aveva mandato alcuni sms: un modo semplice e carino per stare insieme anche se lontani. Le sembrava così che fossero vicini... sarebbero stati! se lui avesse risposto! Nei giorni seguenti decise di aspettare per vedere se questo "noi" avrebbe preso la forma di un "progetto".
Ripensò ad una vecchia relazione che aveva avuto qualche anno prima. Un rapporto che l'aveva distrutta moralmente e psicologicamente. L'iter era identico. L'aveva capito subito da come era cominciata. Non voleva cadere nella trappola di un paragone, ma era inevitabile ancora. Dall'altra parte cambiava solo il nome della persona ma il comportamento era identico. Glielo aveva detto chiaramente che non voleva portare avanti niente che fosse simile a quello che aveva già vissuto.
Le telefonate gli sms nessun contatto fisico: solo un rapporto "d'amore" distante decine e decine di km che l'avevano distrutta.
La "sindrome della stampella" così lei l'aveva chiamata. Lui che faceva la sua vita senza di lei, ma che pretendeva che lei ci fosse: sempre presente.
Un legame che non riusciva a spezzare. Che l'angosciava e che aveva tentato in mille modi di rompere. Ogni giorno si chiedeva perchè non riusciva a chiudere perchè fosse così difficile dire basta. Poi grazie alla presenza di un amico, che con le sue idee le sue parole le indicò la strada, finalmente fu capace di staccarsi. Nel momento esatto in cui pigiò INVIO sulla tastiera del computer si sentì libera e leggera. Che sensazione meravigliosa. Un peso enorme si era dissolto in un secondo. Aveva scritto tutto quello che avrebbe voluto dire a voce guardandolo, ma i vigliacchi, gli uomini che non sanno come giustificarsi e che conoscono perfettamente il loro comportamento non affrontano mai a viso aperto il "nemico"... la donna.
Adesso con le nuove tecnologie ci sono gli sms le emails che salvano da questi confronti. Era arrabbiata? No solo delusa. Aveva costruito dentro di sè qualcosa simile ad un guscio d'uovo talmente friabile che si era polverizzato subito. Ma aveva promesso a se stessa che questo non sarebbe accaduto mai più.
Non le era mai successo di pensare così tanto ad un rapporto. Forse era questo modo strano di volerlo vivere. E poi adesso lui si era chiuso in un mutismo che non capiva. Come sarebbe stato bello parlare per chiarirsi invece di fare l'offeso o decidere che doveva essere lui a tirare i fili del teatrino e gli altri a fare i pupazzi. E chi l'ha detto? Le marionette si possono anche ribellare e allora il burattinaio cosa fa?
Telefonò al suo "vecchietto"..... "Vorrei vederti, quando puoi."

(continua.....)

lunedì 8 marzo 2010

8 Marzo


Non voglio essere asservito ad una data che è oramai è divenuta una scusa e un giustificazione della coscienza più bieca.

Dico solo che come maschio io mi vergogno.

Non scusateci e non giustificatici, siamo colpevoli da millenni.

Forse la cosa più giusta che potete fare è non festeggiare un giorno ma riprendervi i 364 di ogni anno in cui vi togliamo il diritti di esseri umani.

Per me e solo per me vi chiedo perdono.

venerdì 5 marzo 2010

In Ricordo

Come non potevamo ricordare anche un grande artista, uno di quelli che hanno accompagnato con le sue interpretazioni la nostra giovinezza.
E in ogni caso lo voglio ricordare come uno spirito libero.

LUCIO BATTISTI
Poggio Bustone, 5 marzo 1943 – Milano, 9 settembre 1998



GIBRAN terza parte (3)


(continua....)

Ma soprattutto cosa voleva dire? Sì, era vero, lei aveva bisogno di mettere le sue "tesserine" al posto giusto e in quella confusione non ci riusciva e per questo era rimasta semplicemente ad osservare.

Tra le tante aveva un'espressione frequente:"Ho scopato tanto!" E a cosa gli era servito? dove lo aveva portato? Era solo: nessuna donna accanto a lui! da anni. Ogni volta che lo diceva si riempiva la bocca si compiaceva e di che cosa? A lei non interessava e se era la strada per sapere che rapporti aveva avuto lei, non era questo il modo. Non gli avrebbe mai raccontato niente. Era gelosa della sua intimità. Sia che gli uomini avuti le avessero lasciato un buon ricordo sia che fosse stato interrotto tutto bruscamente. Quello che era visibile non era importante per lei. Solo quando si chiudeva allora c'era qualcosa che la interessava veramente. Di fronte alla sua espressione lei non sapeva quantificare: 100-1000-10.000... quanti?
Così tanti che si era stufato o così pochi che non c'era nessuna giustificazione per questo stare lontano da lei e a non voler rapporti fisici insieme? Se lei non avesse chiuso, quanto tempo pensava di andare avanti? Mille domande e come spesso succede nessuna risposta...
Non cercava più una spiegazione al suo comportamento, ormai aveva detto basta e non sarebbe tornata indietro. Voleva invece capire perchè non era scattata dentro il suo cuore la scintilla per iniziare e costruire un rapporto.
Le davano fastidio alcune cose, non riusciva a superarle. Alla fine l'insieme poi era ben delineato.
Aveva cercato di fargli capire che detestava rimanere da sola. Cioè se non aveva un uomo la condizione era normale e il tempo a disposizione lo impiegava a fare tante cose che le piacevano. Ma se nella realtà c'era la presenza di qualcuno, anche se lontano, allora voleva e desiderava incontrarlo: non chiedeva molto anche solo una volta al mese.
Ma con Gibran questo non era successo.
"Facciamo finire Gennaio, è uno dei due mesi terribili che ho nel lavoro poi tutto si aggiusta e starò con te più che posso!" ancora parole. Febbraio stava passando e lui non si era mai fatto vivo fisicamente per darle un bacio.
Ogni giorno trascorso con lui... l'inizio il primo rapporto il secondo la decisione che tutto sarebbe stato meraviglioso, la speranza che poteva cominciare una storia nuova..... sembravano cose superate. Ogni volta si era illusa di aver messo la parola fine al suo "isolamento" e di aver imboccato il sentiero per la felicità. Quante illusioni! Con Gibran con il giornalista con... basta! ognuno di loro con il tempo l'aveva fatta allontanare. Dopo i primi momenti di euforia iniziavano i primi ripensamenti le prime affermazioni che la lasciavano allibita.
Quante volte aveva chiuso la porta di una camera da letto con la testa piena di pensieri che si accavallavano? Più cercava di capire mettersi in condizioni di andare avanti senza problemi e più la volta dopo c'era qualcosa di cui discutere.
Solo con il suo " vecchietto" non era stato così. Ma il loro non era amore: solo reciproco rispetto e un meraviglioso modo di passare il tempo. Non si erano poi lasciati mai definitivamente: si sentivano spesso e spesso c'era la solita frase che li univa: "Mi manchi."
Ma ecco all'ultima sua richiesta di contatto Gibran aveva risposto.
Solo amore nelle sue parole e una tacita richiesta di essere perdonato e continuare a stare insieme e non lasciarsi più. La testa le girava non capiva, fino a un secondo prima le sembrava di essere così decisa sicura e adesso? Stava tornando sui suoi passi anche lei.... voleva continuare, ma ..... cominciò a pensare a quanto sarebbe durata. Che figura avrebbe fatto anche questa volta se il capitolo sembrava chiuso e invece poco dopo si riapriva ancora ? sarebbero ritornati a letto insieme, tutto meraviglioso e poi.... finito tutto un'altra volta? quanto sarebbe durata questa storia tra alti e bassi? Se qualcuno li avesse osservati l'avrebbe presa per pazza, per un'instabile con tutti questi dubbi.Questa storia, quelle che contemporaneamente si erano accavallate.... ognuna sembrava iniziare meravigliosamente e poi si concludeva. Quanti periodi illusori e quanti deludenti doveva ancora superare? meno male che solo lei viveva tutto alla luce del sole senza che nessuno si accorgesse dei suoi stati d'animo.
Decise di aprire una nuova possibilità per tutti e due. Avrebbe cercato di non riempirsi la testa di domande ed esitazioni. Un capitolo nuovo tutto da scrivere tutto da vivere ed affrontare. Non avrebbe provato a sistemare le sue "tesserine" o di capire fino all'inverosimile ogni cosa.
Sperava solo che non fosse un'illusione: in fondo sentiva che lui meritava molto di più, che doveva solo riabituarsi alle regole tacite di un rapporto a due. Aveva pazienza aveva tempo.
Pensò che avrebbbe provato a vivere su un binario con scambi frequenti di direzione: sentiva che con lui sarebbe stato così. Non avrebbe forzato niente, ma non avrebbe nemmeno accettato passivamente tutto e per sempre. Voleva provare: con il tempo le incertezze sarebbero sparite. Almeno lo sperava!
Anche questa volta Gibran, il poeta le venne in aiuto:

"In un campo ho veduto una ghianda:
sembrava così morta, inutile.
E in primavera ho visto quella ghianda
mettere radici e innalzarsi,
giovane quercia verso il sole.
Un miracolo, potresti dire:
eppure questo miracolo si produce
mille migliaia di volte
nel sonno di ogni autunno
e nella passione di ogni primavera.
Perchè non dovrebbe prodursi
nel cuore dell'uomo?"

(Kahlil Gibran)

In Ricordo

Il 5 Marzo del 1910 a Pescara nasceva un uomo con i piedi fortemente poggiati sulle nuvole.
Ennio Flaiano
«Una volta credevo che il contrario di una verità fosse l'errore e il contrario di un errore fosse la verità. Oggi una verità può avere per contrario un'altra verità altrettanto valida, e l'errore un altro errore.»«Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso.»

«Afflitto da un complesso di parità. Non si sente inferiore a nessuno.»

«Ormai non desidero che ciò che mi offrono ripetutamente.»

mercoledì 3 marzo 2010

GIBRAN terza parte (2)


(continua....)

Ogni volta che non si era presentato, lei aveva affrontato tutto con calma, non ne era rimasta delusa come se se lo aspettasse

I rapporti che aveva con gli uomini adesso erano vissuti in maniera diversa. Ognuno di loro rimaneva in lei un po'. Una parte dei suoi pensieri era fatta di un puzzle che non le apparteneva, ma faceva parte del suo io. Non aveva assorbito nessuna idea con cui era venuta in contatto, ma ognuno di loro aveva irrimediabilmente decretato la sua crescita. Quando si lasciavano, quando la porta della camera veniva chiusa anche lei cessava ogni contatto. Pensava agli ultimi uomini che aveva avuto: il "vecchietto", così pragmatico così dolce. Il chirurgo che cercava emozioni, ma poi alla fine non riusciva a lasciarsi andare e rimaneva segregato nei soliti schemi sessuali. Il giornalista, una bellissima storia vissuta intensamente, ma che l'aveva stancata. La gelosia, l'assillo morboso delle telefonate, il dover sempre spiegare tutto e dov'era e con chi e cosa stava facendo o dicendo. Perchè? Non faceva niente di male, viveva la sua vita, voleva e doveva per se stessa avere contatti con molte persone, non sarebbe riuscita a stare isolata. Ma non per questo con ognuno di loro doveva esserci per forza una "storia".
Gibran.... aveva fatto parte anche lui della sua "conoscenza": si erano incontrati, ma come compagni di viaggio non andavano bene. Almeno se lui le avesse fatto capire o intuire soprattutto cosa cercava o si aspettava da lei. Si era stancata degli uomini saccenti che sanno tutto e pretendono che la donna che hanno accanto "sappia" cosa vogliono. Non era un'indovina e non voleva "studiare" per diventarlo. Desiderava solo semplicità, ma non riusciva a trovarla.
Ricordava di aver letto "Chi è stato torturato, rimane torturato": un filosofo! forse Jean Améry, ma non era sicura. La frase era rimasta scolpita dentro di lei. Aveva sempre pensato che le esperienze avute segnano indissolubilmente la vita di ognuno. Si chiama "esperienza" perchè è fatta di cose belle e brutte, ma chissà come nella vita il brutto viene ricordato di più e forma il carattere e il comportamento. Avrebbe voluto essere diversa. Sentiva dentro di sè un mondo di amore, voleva tranquillità, ma con gli altri si comportava in maniera indifferente e cinica. Aveva paura che se si fosse lasciata andare sarebbe stata calpestata ancora. Non voleva dare più a nessuno la possibilità di farlo.
Gibran! il poeta. Aveva comprato le sue opere in inglese, aveva ricominciato a rileggerlo per capire se nella lingua originale le note della musicalità e della poesia che l'avevano fatta "innamorare" erano diverse. Si chiedeva come aveva potuto prendere un abbaglio così grosso. Come aveva potuto pensare che solo perchè un qualsiasi uomo conosceva qualche rigo di una poema potesse "cantare" come un angelo. Le parole, le poesie che lui le aveva scritto non avevano mai suscitato in lei alcuna emozione. Quando le aveva detto che aveva avuto altri rapporti si era chiesta che tipo di donne fossero. Parlava parlava parlava solo lui e dava l'impressione che si compiacesse ad ascoltarsi. Molte cose che aveva detto l'avevano fatta riflettere... "Ma come può uno vivere nel mondo e parlare così!...le donne che ha avuto sono rimaste "fulminate" da queste parole, ma hanno intuito qualcosa? Che tipo di cultura possono avere, saranno riuscite a penetrare nell'animo dei suoi discorsi?" pensava che fossero così ignoranti che davanti ad un buon parlatore si sarebbero calate gli slip sempre. Non capivano sicuramente cosa diceva con quel linguaggio strano che usava: le aveva affogate di parole! e quindi a bocca aperta erano rimaste lì davanti a lui completamente rincitrullite! buttandosi poi tra le sue braccia come fosse l'uomo migliore che poteva capitare loro nella vita.
Ma perchè lei non la pensava così? Fin dal primo momento lo aveva guardato, aveva cominciato a farsi domande a chiedersi cosa significavano tutti quei discorsi che faceva da solo come se davanti a lui non ci fosse nessuno. Ma soprattutto cosa voleva dire? Sì, era vero, lei aveva bisogno di mettere le sue "tesserine" al posto giusto e in quella confusione non ci riusciva e per questo era rimasta semplicemente ad osservare.

(continua....)

lunedì 1 marzo 2010

INVITIAMO A PRANZO INDI


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- BORDEAUX ROUGE MONOPOLE 2006
- Scaloppa di foie-gras alle lenticchie e sedano fondente

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- BORDEAUX SUPERIEUR CHATEAU DE RICAUD 2005
- Zuppa fredda di fagioli bianchi e capesante croccanti in gelatina di bordeaux

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- POMEROL CLOSERIE MAZEYRES 2005
- Trancio di spada su fine ratatouille con vinaigrette di pepe verde
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- HAUT-MEDOC GRAND CLASSE CHATEAU BELGRAVE 2003
- Trancio di vitello caramellato con patate bolangere
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