SOLO QUELLI CHE SONO COSI' FOLLI DA PENSARE DI CAMBIARE IL MONDO, LO CAMBIANO DAVVERO (A.Einstein)

PER TUTTI
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martedì 18 agosto 2009

A pleuriti!




Non era facile parlare con Santipamma.
Non perchè fosse un tipo scorbutico, anzi, se fosse stato per lui avrebbe parlato con te tutto il giorno, anche se, non ascoltava ciò che tu dicevi. Dovevi ripetere le cose due o tre volte, prima per attirare la sua attenzione poi per far capire bene la domanda.
No, lui era un affabile parlatore. Quando non era ubriaco, cosa che in una settimana poteva capitare due o tre ore.
La maggior parte del tempo la passava in uno stato di ebrezza minore, poi al pomeriggio, vuoi la sete della calura in estate, vuoi i rigori dell'inverno, ci andava giù pesante e si riprendeva, diciamo così, l'indomani alle 10 - 11 se nessuno lo disturbava da dove era svenuto la notte prima.
Ma nello stato di ebrezza minore il suo affetto per la sciecca era totale anche perchè la povera bestia era anche lei tifosa del fiasco, avendolo provato più di una volta; era una curiosa-pena vedere il muso dell'asina sfiorare la spalla del padrone quando lo vedeva alzare il fiasco, come a chiedere un sorso anche per lei, sorso che ogni tanto il buon padrone-amico elargiva.
Un giorno al giardinetto lo trovai seduto su la panchina e l'asina legata al lampione li vicino, era sobrio e pensieroso. Stranamente mi riconobbe, segno dell'estrema lucidità, e mi invitò a sedere.
Mi chiese a bruciapelo cosa fosse la pleurite.
Era gennaio inoltrato e il suo naso rosso gocciolava, era sempre stato così e non ci facevi più caso, si asciugava nella manica della giacca una volta su tre, le altre due in un fazzoletto che era di una colore indefinibile e di una grandezza da sudario.
- Picchì u vo' sapiri?
Mi rispose subito non dovetti ripetere la domanda.
- U' Dutturi...
soffiata trombesca di nasca, asciugata di occhi.
.. mi voli ricuvirari, dici ca haiu a pleuriti. Come fazzu ca scecca? A'cu' a lassu?
Lo tranquillizzai dicendo che la potevamo portare nella stalla di mio nonno e che non si doveva preoccupare che sarebbe stata bene.
Questo lo rassicurò e si sentì un po' più sollevato.
- Ma sta malatia.. chi è?
Gli spiegai che era una malattia che poteva venire per la polmonite che aveva avuto già a inizio Dicembre e che è meglio curare subito e che un ricovero in ospedale con una buona alimentazione e, questo lo dissi nella mia mente, lontano dal vino e una buona lavata, ti farò solo del bene.
- Fozza, susiti puttamu a scecca n'da stanna e poi ti potto n'do spitali.
Lasciammo l'asina nelle mani esperte di mio nonno che cominciò a strigliare la bestia prima di metterla nella stalla con il mulo.
In macchina il poveruomo mi chiese ancora della malattia, e io cominciai a spiegargli che in parole povere si forma dell'acqua in questo tessuto e che è meglio curarsi subito.
Detto questo un grido mostruoso si levò.
-Acqua, ma quali acqua? sunu 30 anni ca non toccu acqua! Sarà statu du curnutu do vinaru ca ci metti l'acqua n'do vinu, Curnutu mi fici ammalari.
Penai non poco per calmarlo.

venerdì 31 luglio 2009

A quattara




A quattara

8 quattari fannu n'utri, 2 utri na sarma i’mustu, per ogni samma prodotta si pagava al proprietario del palmento.
Nel piccolo paese di mio nonno esistevano due palmenti uno di proprietà do Zu ' Naschitta uomo di rispetto e quindi inviso da mio nonno, l'altro di proprietà della canonica e quindi gestito dal parroco di allora Don Prizzinu, grande fascista, strozzino e ladro, la scelta era impossibile o uscire dal paese con costi esorbitanti o subire.

Mio nonno sapeva come ragionava il parroco che: o di faceva aumentare il mosto di notte con l'acqua, o ti truffava con la quattara dal fondo rialzato che così conteneva meno dei 17,2 litri; tutti sapevano ma per paura di ritorsione, dai fascisti da un lato o dei mafiosi dall'altro, tutta la povera gente subiva.

Mio nonno alla vendemmia prendeva l'asina, il fucile il cane le vettole piene e si piazzava per tutto il tempo nel palmento aspettava che arrivasse la racina, che venisse pigiata e la notte messa la soma dell’asina a mo di cuscino il fucile accanto si apprestava a dormire con un solo occhio.

Già le altre nottate le aveva passate nella vigna sempre con il cagnetto, l’asino e il fucile.
Durante la vendemmia erano i figli, mio padre e mio zio, a controllare i lavori della vendemmia.
All’età di sette anni chiesi di stare con il nonno per la vendemmia, pensavo che fosse una cosa triste stare da soli la notte e che se ci fossi stato io potesse almeno riposare.
Il nonno all’inizio non sembrò felicissimo dell’idea di avermi tra i piedi in un momento come quello ma i tempi erano cambiati.
Zu’ Naschitta non c’era più da prima che io nascessi, sparato di notte mentre tornava a casa dopo che era stato chissà dove.
Don Prizzinu ufficialmente era ora Democristiano e non faceva più lo strozzino, poi durante le elezioni passava casa per casa a ricordare che quando c’era Lui, si viveva con le porte aperte. Tranne la sua che era sempre chiusa a chi aveva bisogna , mormorava mio nonno e si rimetteva in bocca un filo d’erba.
Erano i primi anni ’60 e quella notte passata a parlare con quell’amorale di mio nonno, che come diceva il prete non rispettava i Santi e le istituzioni, mi è rimasta nel DNA.

La mattina quando vennero per portare via il mosto con le Api, il prete era presente e carezzandomi la testa mi chiese presto farai la prima comunione e poi la cresima sarai certamente contento di fare i sacramenti.
Mio nonno inarcò un sopracciglio e io risposi: - si mi dispiace solo che non li farò insieme a Pippu u niuru, ca e chiù ranni i mia di’nannu .
Il Prete divenne rosso e andò via incollerito e mormorando astimi nei nostri confronti.
Mio nonno sorrise leggermente e mi mise la mano tra i capelli.

Pippu u niuru, Giuseppe soprannominato lo scuro era ufficialmente il figlio della perpetua e del sacrestano, ma il sacrestano non poteva avere figli da quando una pallottola lo aveva evirato e castrato, e Pippo era sputato a Don Prizzinu.

martedì 14 aprile 2009

Morale e moralismo





Avevo 12 anni, anno 1970 circa.
Un venerdì sera a pranzo mio padre ci disse che aveva pensato di piantare in tutto il lato di nord-est della vigna degli alberi di ulivo.
Io non avevo la ben che minima idea di cosa ciò volesse dire.
La domenica mattina andammo nella vigna e mio padre mi descrisse le varie operazioni.
Primo
Pulire bene tutto il lato interessato togliendo erbe frasche eventuali rovi arbusti ecc. ecc.
Lavorammo per tutta la giornata alla fine la zona era stata ripulita anche dai fichi d’india, quella era una zona della vigna ancora a “sciara
Secondo
La domenica dopo cominciamo a segnare i punti per piantare gli ulivi, teoricamente doveva essere uno ogni 6 metri ma era meglio mettere le piante dove il terreno dava la miglior indicazione di riuscita, è la terra che ti dice cosa fare non la tua voglia come vorresti che le cose fossero, sentire capire interpretare e realizzare di conseguenza, allo stesso modo di come mio nonno mi spiegò su come si potava la vite, non come vuoi tu ma come ti dice la pianta piegando i suoi rami torcendosi su se stessa ti sta indicando che vuole crescere così, aiutala e lei sarà contenta e ti premierà con grappoli sani e belli, se fai come vuoi tu forse riuscirai ad avere più grappoli per un po’ ma la pianta soffrirà e il risultato non sarà così buono e mi citava un proverbio “Ogni cosa si pigghia pu so versu” e così invece di 26 alberi ne segnammo solo 21, cominciò il quel giorno stesso lo scavo delle buche, per ognuna si lavorò per almeno un paio di ore e ci vollero altre quattro domeniche per completare lo scavo,
Terzo
Quel sabato era festa e andammo con mio zio al vivaio per scegliere le piante, anche lì era la sensazione che ti dava la pianta e non tanto le chiacchiere del venditore.
La domenica la passammo impiantando gli alberelli nelle fosse, si sceglieva l’aspetto dell’albero della sua radice con il posto e la conformazione del terreno in quel determinato punto, la natura già dava i primi segnali di risveglio e gli odori di terra si mischiavano con quelli delle erbe. Alla fine tutte gli alberi furono messi a dimora.
Quarto
Al che mio padre si piazzò a una certa distanza e con il sole che tramontava alle spalle si fermo a rimirare il lavoro fatto, io raccolsi gli attrezzi le sistemai in macchina e tornai accanto a lui.
Quell’immagine di quel confine della vigna mi piacerebbe poterlo trasmettere a mia figlia.
Quando spegnendo la sigaretta a metà stringendola tra pollice e indice e mettendola in tasca per fumarla dopo si girò per tornare a casa gli chiesi:
- quann’è ca cughiemu alivi?
(quando raccoglieremo le olive?)

Si girò stupito:
- Ca si va bonu, fra cinc’anni quacchi chilu pi salari.
(se va bene, fra 5 anni un chilo da salare)

venerdì 20 marzo 2009

'A Coppula




I mie ricordi di infanzia mi portano a quelle giornate di metà gennaio che capitano in Sicilia.
Sono giorni che arrivano dopo il maltempo, luminosissime anche se fredde la luce sempra che ti arriva da tutte le direzioni, i colori sono precisi, ordinati e puri, l'aria è pulitissima e gli odori sono netti, senza sbavature e sovrapposizioni, anche i cattivi odori e tra quelli mi ricordo quello del poeta dell'Etna.
Si faceva chiamare così un omino del mio paese che assillava tutti i conoscenti con le sue "poesie" e il suo puzzo di vino di terz'ordine, dove riuscisse a trovare un vino così cattivo resta un mistero poiché la zona del mio paese nativo è baciata di vitigni e vigne incapaci anche volendo di produrre vino cattivo.
La mia e penso anche quella dei miei amici, memoria non ha nessun ricordo dei tremendi versi, sarà stata auto sanità mentale? E invece mi ricordo la coppola, per chi non sa cosa sia.
La coppola è l'estensione del linguaggio siciliano, si , non è un errore per tutto il resto del mondo la coppola è un copricapo ma per un siciliano è un mezzo di comunicazione.
Essa esprime il tuo stato d'animo rafforza le tue espressioni un esempio?
La coppola portata alzata sulla fronte esprime perplessità e dubbio, calzatta a sinistra estro e spensieratezza, a destra malandrineria e sfida, calata sugli occhi scontro e battaglia, veniva infatti così portata durante i duelli con il coltello di giorno per non essere distratti e abbagliati dal sole.
ma soprattutto un buon catanese si ricorda della così detta "Coppula do’ zuVicenzu" di cui vi invito ad non indagare e che io associo alla parte superiore di certi nostri politici.

giovedì 5 marzo 2009

Val Calanna


Era il 1979, allora esisteva ancora una valle sull’Etna, per gli abitanti di Zafferana Etnea, quel nome dice ancora tanto.
Sotto il Monte Calanna esisteva la valle omonima, fertilissima con sorgive d’acqua, quasi una beffa per un paese che ha avuto l’acqua razionata per decenni,
Lasciai la vecchia R6 nel piazzale da dove iniziava il sentiero che tra muri a secco e ginestre fiorite saliva alla valle.
Lo zaino militare allacciato e il tascapane a tracollo in cui era avvolto in un sacco di iuta “u bummulu” ancora vuoto ma che già mi sentivo il sapore dell’acqua che da li a una mezzora avrei bevuto fuoruscita dal forellino tenuto chiuso da una frasca di ferula, quanti sapori si perdono? E questo è uno di quelli, come fai a descrivere il sapore dell’acqua di sorgiva che è stata dentro u bummulu, come il sapore del coniglio selvatico che speravo di mangiare quella sera, cotto alla brace lentamente per un paio di ore con braci di castagno e frasche secche di macchia odorosissima, certo un po’ di vino ci sarebbe stato da Dio ma quella era una vacanza per lo spirito non per il corpo.
Arrivato all’ultima salita rallentai il passo per godermi la vista improvvisa un leggero vento mi portava i profumi della valle e appena misi il piede nel costone un silenzio assordante mi avvolse, durò pochissimo ma come le cose improvvise ti colpiscono dentro e ti restano per sempre, prima il canto cauto di un pettirosso, seguito dal fresco e gioioso suono dell’usignolo e poi tutti gli altri in un concerto che fa da sottofondo alla vera vita.
Oltrepassai i frutteti e mi diressi a Nord verso la bolla sorgiva li c’era una “casedda” diroccata che utilizzavo come accampamento.
Poste le poche cose preparai la trappola per il coniglio, la piazzai ad alcuni centinai di metri tra i rovi, lì dove si innalzava il muro della colata lavica, di quale anno?
Poi andai a riempire u bummulu e seduto su uno sgabello di ferula bevvi dal filo d’acqua che da esso fuoriusciva, vera acqua della vita.
Raccolsi la legna e le frasche sia per la notte che per la cottura,era un’azione di buon augurio altre volte avevo passato la serata con un po’ di pane e qualche frutto preso dagli alberi do Zu’Stranu.
Apri lo zaino e tirai fuori il sacco a pelo lo stesi e con la con la coperta messa su mi addormentai.
Un canto di un cardellino vicino quasi all’orecchio mi svegliò, mi stiracchiai, un sorso d’acqua e mi avviai verso la trappola, non c’è bisogno di vedere per sapere se il tuo trucco abbia avuto successo lo senti ancor prima di vedere.
Nella trappola c’era un coniglio, un saittuni grigio che cercava in tutti i modi di liberarsi, lo presi per le orecchie e poi per i piedi lo uccisi così come avevo imparato dal nonno, un colpo secco dietro la nuca, lo pulì scuoiandolo utilizzando il fil di ferro un ramo d’albero e il mio coltello a serramanico.
Queste azioni venivano fatte non senza un ringraziamento e un rispetto per l’animale morto, mio nonno mi spiego come si dovesse omaggiare l’essere che con la sua morte ci dava il cibo, non parole o azioni ma stato d’animo e silenzio, solo il silenzio è la vera musica di rispetto per la morte.

giovedì 4 dicembre 2008

Santipamma e l'asina



Nel mio paese natio, quando ero ancora un ragazzetto che girava con i calzoncini corti, (una volta si usavano, e non sorridete con sufficienza) viveva un mendicante, filosofo ma soprattutto alcolizzato.
Tutti lo chiamavano Santipamma, possedeva un'asina, da questo il ritorno dei pensieri a quell'epoca lontana; il presepe, l'asino, l'asina di Santipamma.
Più di un'asina, anzi un cane di compagnia, un'amica fidata per il vecchio ubriacone; era lei che lo riportava a casa quando era senza coscienza per colpa del vino scroccato o guadagnato con qualche lavoretto, era lei che con il suo calore aiutava il suo amico a superare le notti più fredde.
Una volta il Santipamma ancora un po' lucido, ma già un po' malfermo sulle gambe, prese coscienza di questa amicizia fraterna e volle rendere l'amica partecipe della sua gioia, mise in bocca alla bestia il fiasco di vino, il povero animale data la giornata calda avendo sete ingoio in un sol sorso tutto il contenuto.
Il padrone contento nel vedere come la sua asina apprezzasse il vino prese un altro fiasco e giù nella gola della povera asina.
Il secondo fiasco fece effetto e l’asina cominciò a ragliare con tono da baritono, e appena fece il primo passo, forse impaurita dal girare degli oggetti attorno a se, cominciò a correre scompostamente e il padrone dietro gridando per tutto il paese:
-Ah, sciecca! Ah, sciecca.. (L'asina, L'asina)
Furono ritrovati tutte e due addormentati sulla strada del paese vicino a notte fonda, fraternamente abbracciati.