Nel chiarore della luna
Mercoldì scorge una duna
dove andarsi a riposare,
sì stremato dal guardare
che con gioia cede il passo
a chi preme senza chiasso
per non stare più nascosto,
e pigliare il giusto posto
ch'ora spetta al quarto dì,
anche detto Giovedì.
Ascoltata con passione
delle cose la canzone,
Giovedì più riflessivo,
ed assai più creativo,
dalle cose vuol sapere
qual è il senso, il fine, il vanto
del lor decantato incanto:
"A chi serve insomma l'acqua,
ed a chi l'ardor del fuoco?
E del fiore la bellezza,
se non c'è poi chi l'apprezza,
non è inutile, sprecata?
Dite quindi, e mi sia data
spiegazione esauriente:
voi servite a qualche cosa
oppur non servite a niente?"
Un sussurro immantinente,
fa stormir tutte le fronde.
Quasi a dare il nulla osta
alla vita che risponde,
fuor dai rovi sguscia verde
una biscia, e poi si perde
nel fragor d'una cascata,
dove beve e sta beata.
Un allegro trafficare
lo costringe a contemplare
cosa smuove i grandi rami
d'un bell'albero da frutto,
dove accade un po' di tutto.
Un uccello vi fa il nido
per la sposa, e lo protegge
sotto l'ala sua amorosa.
Uno strano animaletto
con la cosa come un fiocco,
con la lingua fa uno schiocco
per dir grazie ad un bel frutto,
e poi se lo pappa tutto.
E il ronzio che c'è da basso?
Non può farlo quel bel sasso!
Ed infatti raso terra,
dove l'erba si fa serra
per gli aromi ed i colori
del fiorir di mille fiori,
il ronzio si fa più intenso
perchè lì, quale compenso
del ronzante suo cantare,
ogni ape può succhiare
il buon nettare dei fiori,
e portarlo a sciami fuori
per produrci il dolce miele
che fa l'orso men crudele.
Ma più in là già l'erba è prato,
dove pascola beato
un insieme d'animali
con aspetti e voci, tali
da lasciare sbalordito
Giovedì, che incuriosito
gira tutto e a tutti intorno.
Lì sta, muto, un unicorno.
Lì conigli e talpe e lepri
si rimpinzan di ginepri.
Lì dei tori e delle vacche
fertilizzano il terreno
con le loro cacche squacche.
Lì, agitando la criniera,
c'è un cavallo che nitrisce.
Lì brucando s'impigrisce
una capra, e al sole, inerte.
un leone si diverte
a ruggire e spaventare
cento pecore d'un gregge,
che scappando bela e avverte
chè al timore mai non regge.
Ed è tutto un gran fuggire
e nitrire galoppando,
e muggire calpestando
chi saltella non sapendo
del pericolo tremendo
che lì tutti fa scappare.
E fin dove? Fino al mare.
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