SOLO QUELLI CHE SONO COSI' FOLLI DA PENSARE DI CAMBIARE IL MONDO, LO CAMBIANO DAVVERO (A.Einstein)

PER TUTTI
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venerdì 31 luglio 2009

A quattara




A quattara

8 quattari fannu n'utri, 2 utri na sarma i’mustu, per ogni samma prodotta si pagava al proprietario del palmento.
Nel piccolo paese di mio nonno esistevano due palmenti uno di proprietà do Zu ' Naschitta uomo di rispetto e quindi inviso da mio nonno, l'altro di proprietà della canonica e quindi gestito dal parroco di allora Don Prizzinu, grande fascista, strozzino e ladro, la scelta era impossibile o uscire dal paese con costi esorbitanti o subire.

Mio nonno sapeva come ragionava il parroco che: o di faceva aumentare il mosto di notte con l'acqua, o ti truffava con la quattara dal fondo rialzato che così conteneva meno dei 17,2 litri; tutti sapevano ma per paura di ritorsione, dai fascisti da un lato o dei mafiosi dall'altro, tutta la povera gente subiva.

Mio nonno alla vendemmia prendeva l'asina, il fucile il cane le vettole piene e si piazzava per tutto il tempo nel palmento aspettava che arrivasse la racina, che venisse pigiata e la notte messa la soma dell’asina a mo di cuscino il fucile accanto si apprestava a dormire con un solo occhio.

Già le altre nottate le aveva passate nella vigna sempre con il cagnetto, l’asino e il fucile.
Durante la vendemmia erano i figli, mio padre e mio zio, a controllare i lavori della vendemmia.
All’età di sette anni chiesi di stare con il nonno per la vendemmia, pensavo che fosse una cosa triste stare da soli la notte e che se ci fossi stato io potesse almeno riposare.
Il nonno all’inizio non sembrò felicissimo dell’idea di avermi tra i piedi in un momento come quello ma i tempi erano cambiati.
Zu’ Naschitta non c’era più da prima che io nascessi, sparato di notte mentre tornava a casa dopo che era stato chissà dove.
Don Prizzinu ufficialmente era ora Democristiano e non faceva più lo strozzino, poi durante le elezioni passava casa per casa a ricordare che quando c’era Lui, si viveva con le porte aperte. Tranne la sua che era sempre chiusa a chi aveva bisogna , mormorava mio nonno e si rimetteva in bocca un filo d’erba.
Erano i primi anni ’60 e quella notte passata a parlare con quell’amorale di mio nonno, che come diceva il prete non rispettava i Santi e le istituzioni, mi è rimasta nel DNA.

La mattina quando vennero per portare via il mosto con le Api, il prete era presente e carezzandomi la testa mi chiese presto farai la prima comunione e poi la cresima sarai certamente contento di fare i sacramenti.
Mio nonno inarcò un sopracciglio e io risposi: - si mi dispiace solo che non li farò insieme a Pippu u niuru, ca e chiù ranni i mia di’nannu .
Il Prete divenne rosso e andò via incollerito e mormorando astimi nei nostri confronti.
Mio nonno sorrise leggermente e mi mise la mano tra i capelli.

Pippu u niuru, Giuseppe soprannominato lo scuro era ufficialmente il figlio della perpetua e del sacrestano, ma il sacrestano non poteva avere figli da quando una pallottola lo aveva evirato e castrato, e Pippo era sputato a Don Prizzinu.

giovedì 30 luglio 2009

IL MORTAIO

Rischia 40 frustate in pubblico la giornalista sudanese "sorpresa" con i pantaloni in un ristorante della capitale.
A conferma che non ci sono culture superiori.
Ma che ce n'è qualcuna che fa di tutto per sembrare inferiore.

Un Prete

..È una domanda seria, che mi pongo ogni giorno: come si può discutere oggi di grandi valori umani con quanti fanno della politica o della religione un mestiere redditizio?

Antonello..?

da?..
Messina?

Va
a lavurà terun


Sos per Antonello da Messina

mercoledì 29 luglio 2009

IL GHEPARDO


(di Lorena B.)

TERZA E ULTIMA PARTE

L'uomo arrivò e il ghepardo scattò in avanti afferrandolo alla gola. Non rimase per vedere se aveva veramente ucciso la sua vittima, non era il suo cibo in quel momento: voleva solo fuggire. Attraversò la stretta porticina rimasta aperta, verso la libertà.
Là vicino c’era una stazione ferroviaria: lì arrivavano i vagoni con gli animali destinati allo zoo e il ghepardo decise di rifugiarvisi per passare la notte. Ne trovò uno che aveva la porta scorrevole socchiusa. Si addormentò in un angolino nascosto dietro ad alcune casse, ma il suo sonno fu agitato: sognò di rivivere il momento dell’arrivo dei camion, l’uccisione di sua madre fino alla sua cattura. Prima di addormentarsi si leccò le zampe che avevano aggredito l'uomo e il sapore del sangue gli piacque: era un tipo che non aveva mai assaggiato prima. Sentì scorrere dentro di sè una forza nuova come se con quelle poche gocce avesse assorbito la linfa di chi l'aveva catturato. Si sentiva un uomo! L'essere più potente che lui avesse conosciuto, perchè era riuscito a prenderlo e portarlo via da casa sua. C'era stata fra loro una lotta a chi fosse il più forte: era stato picchiato, umiliato con cibo già morto, ferito e non curato, ma alla fine lui aveva vinto il suo nemico. Non si era fermato a guardare se fosse morto, è vero, ma sentiva che l'aveva fatto: si sentiva invincibile. La prima battaglia era stata vinta. Ora doveva riuscire ad arrivare nella sua savana senza essere catturato ed ucciso, perchè questa volta l'avrebbero fatto di sicuro.
Nuovamente si leccò la zampa. Quel sangue...quel sangue lo faceva pensare. Non voleva trasformarsi nel suo nemico, ma se gli fosse servito per capire e scappare, allora accettava anche di essere in parte uomo.
Improvvisamente un forte fischio lo svegliò dai suoi pensieri. Alzò il muso, il naso fremente ad annusare. C’era un trambusto assordante fuori dal vagone. Il ghepardo spiò dalla porta semichiusa: il paesaggio era completamente diverso! Arretrò spaventato. Voleva uscire, esplorare quel mondo nuovo ma si fermò: non poteva, c’era troppa gente… Sarebbe uscito quella notte.
Quando fu buio, infatti, saltò giù dal vagone nella stazione deserta e la cosa che lo colpì di più fu la quantità di odori che sentiva nell'aria. Udì uno squittio e si avventò su un ratto che attraversava i binari. Aveva patito troppo la fame per dare ascolto al suo orgoglio che avrebbe voluto catturare prede ben più grandi.
Ricominciò ad annusare, ma percepiva solo odori sconosciuti. Ad un tratto si fermò.... c’era un qualcosa che conosceva: il profumo della sua savana! Era vicino, era felice, ma l'odore non era così forte come sempre. Ma lo conosceva.... era casa sua, non poteva abbandonarlo. Si sentiva in parte uomo, ma era ancora un ghepardo, un animale in cerca della sua casa. E voleva ritornarci. Cominciò ad inseguire quell’odore, come in un sogno. Riuscì a non perderlo mai; perfino quando dormiva rivolgeva il muso in quella direzione perchè rimanesse anche nel sonno.
Passò così i giorni e le notti, senza mai cedere alla stanchezza.
E mentre la scia che seguiva diventava sempre più forte e il paesaggio più familiare, continuava a pensare di esserci riuscito, perchè era diventato come il suo nemico... ma perchè allora rimaneva un ghepardo? Aveva sostituito il suo istinto con il pensiero, aveva programmato ogni sua mossa in ogni sentiero percorso. Si era nascosto per non farsi catturare, aveva imparato a scivolare per rubare il cibo che trovava nei villaggi senza che gli uomini stessi si accorgessero della sua presenza....
Si ricordava il gusto del sangue che aveva assaggiato quando aveva ucciso l'inserviente. Ogni tanto rileccava le zampe per ritrovare quel sapore, ma ormai era scomparso. E intanto era arrivato ai piedi di una collinetta. Aveva un aspetto molto familiare, quella collinetta; il ghepardo era ormai stremato da tanti giorni di cammino, ma si costrinse a scalarla.
La prima cosa che vide da lassù furono due gnu che combattevano fra loro. Guardò più a destra e vide un gruppo di leonesse che dava la caccia ad un branco di gazzelle. E branchi e mandrie sparsi dappertutto. Sembrava che fosse rimasto tutto come lo aveva lasciato. Oltre la collinetta c’era una ripida discesa. La stanchezza sparì come d'incanto. Corse giù più veloce di come lo era mai stato, come solo i ghepardi sanno fare. Era tornato a casa, nella sua savana.
E mentre correva in mezzo all'erba, in mezzo ad un branco di gazzelle che si sparpagliarono veloci....cadde! Rotolò nella polvere. Rimase lì immobile a terra: non capiva cosa era succeso nessun ghepardo cade, non c'erano sassi o impedimenti tali perchè questo dovesse succedere. Sentì prima un piccolo dolore poi il caldo di qualcosa che scendeva lungo il fianco della pelliccia.
Guardò e vide con stupore il suo bel mantello macchiarsi di rosso, di sangue rosso.
...Cosa è successo? E' il sangue dell'uomo che vuole uscire? Come io non stavo bene nella gabbia anche lui non vuole più stare dentro di me?...... Ma se mi abbandonerà non riuscirò più a pensare come lui, ritornerò un ghepardo e basta!...
E mentre gli occhi cominciavano ad annebbiarsi vide avvicinarsi due uomini di colore con i fucili in mano.
Capì.
...Perchè lo avete fatto, perchè avete ucciso un vostro simile? Io sono un uomo dentro la pelle di un ghepardo.....
Ma dalla sua bocca uscì solo l'ultimo ruggito, che diventò un rantolo: sembrava l'ultimo disperato grido per non morire, per rivivere ancora quella sensazione di animale libero.
L'uomo, il suo nemico, nelle vesti di due cacciatori di frodo, lo aveva vinto. Lui aveva ucciso un uomo e un uomo si era vendicato togliendo anche a lui la vita. Aveva percorso centinaia di chilometri per tornare a casa e correre e cacciare in mezzo agli animali che conosceva.
Voleva sentire nuovamente il suo cuore battere mentre si preparava a lanciarsi sulla sua preda. Desiderava cambiare il sapore del sangue dell'uomo che lo aveva accompagnato fino a lì con quello delle prede che avrebbe ucciso. Morì così nella sua savana, senza capire il perchè e si sentì come uno di quei cuccioli che lui cacciava per mangiare.

IL MORTAIO

L'ospedale di Agrigento è stato chiuso perchè a rischio sismico.
Meglio così.
Prima, quand'era aperto, era a rischio per i malati.

IL GHEPARDO



(di Lorena B.)

SECONDA PARTE

(continua....)


......Altri uomini di colore uscirono saltando dai camion: sembrava che guardassero e si muovessero anche loro come un branco.
Il ghepardo, che non aveva mai visto né uomini né camion fu molto incuriosito da questa novità che turbava il normale equilibrio della sua "casa", ma non spaventato: aveva un carattere molto orgoglioso e l’unica cosa di cui aveva veramente paura era la fame.
In poche ore i quattro uomini avevano catturato molte specie di animali: li avevano colpiti da lontano con qualcosa di lungo che faceva uno strano rumore. Non si muovevano quasi: camminavano soltanto lentamente e quando vedevano qualche esemplare che andava bene si fermavano, alzavano i fucili e sparavano: da lontano. L'animale si accasciava quasi subito dopo aver fatto pochi passi, ma a differenza di quando lui o gli altri felini cacciavano non usciva sangue dai corpi. Che tipo di caccia era questa? Era così strana: nessuna corsa, nessuna zampata per togliere la vita, non uno sguardo agli occhi atterriti della preda sotto di lui che stava morendo e che non capiva il perchè. Dove era il divertimento?
Gli altri uomini, che erano venuti con i quattro, appena l'animale cadeva nella polvere si affrettavano allora a prenderlo sulle spalle e lo portavano verso i camion dove veniva caricato e rinchiuso in gabbie. Una per ogni bestia a seconda della grandezza.
Cominciò a preoccuparsi: stavano succedendo cose che non capiva.
La sua inquietudine si trasformò in rabbia quando vide che, insieme agli altri animali, caricavano anche sua madre. Con furore scese con un balzo dall’albero, dove era salito per vedere meglio, e si nascose nuovamente nell’erba alta. Come aveva fatto con il branco di zebre, così fece per quello degli uomini: scelse il più debole e lo attaccò. Il malcapitato fu l’uomo basso e tarchiato che venne ucciso.
Nacque un trambusto terrificante. Gli uomini cominciarono a sparare contro il ghepardo.
...Prendilo, John!... disse l’uomo con i baffi.
Ad un certo punto, tra gli spari, si udì un guaito disperato. Il ghepardo si volse e vide sua madre a terra, in una pozza di sangue.
... Maledizione, John! Dovevi prendere il maschio!...sentì dire da qualcuno.
Il ghepardo cercò di fuggire, ma gli uomini riuscirono a sparargli una siringa piena di sonnifero. Una volta addormentato, venne caricato su un camion e trasportato lontano dalla sua savana, in una città che aveva uno zoo. Quando si svegliò, non ricordò niente, ma si ritrovò in una gabbia di pochi metri quadrati, nella quale riusciva a malapena a fare due passi. Cominciò a soffiare e a camminare avanti e indietro cercando di rompere le sbarre a unghiate e a morsi, inutilmente!
Ad un certo punto arrivò un uomo; l’animale capì che quell’esemplare non faceva parte del gruppo che precedentemente l'aveva attaccato nella savana. Ma si trattava pur sempre di un uomo e il ghepardo aveva imparato che di quella specie non ci si deve fidare. Fra felini si rispettavano: nessuno dava "noia" a nessun altro gruppo, ciascuno non sconfinava mai una volta che avevano segnato il loro territorio. Ma adesso era diverso: che razza era questa che oltre al suo "cibo" aveva portato via anche il "cacciatore"?Cominciò a soffiare più forte, assumendo un atteggiamento minaccioso.
L’uomo rise....Ehi, bello! Calmati, tanto non vai da nessuna parte, ormai! ...
Tirò fuori dalla tasca del suo giubbotto un piccolo taccuino e aprì una pagina.
....Sei un duro?.... Fece un lieve fischio ad un inserviente dello zoo.... Se non si calma...dieci cc di sonnifero…
Ora il ghepardo era veramente infastidito da quei gesti: gli occhi iniettati di sangue guardavano l’uomo, soffermandosi all’altezza della gola; i muscoli si contraevano sotto il pelo corto e lucente; aveva estratto le unghie, che luccicavano al sole; le orecchie dritte, che si muovevano al minimo rumore; il naso era arricciato e dalla bocca aperta si potevano scorgere denti affilati come rasoi. Come era potuto succedere che da cacciatore era diventato preda? Quale sorte gli sarebbe toccata? Non riusciva a capire: non si ricordava che fosse mai successo a nessuno degli altri suoi fratelli.
...Acc... fece l’uomo, sarcastico... Mi fai proprio paura! Ma qui il capo sono io, non dimenticarlo!...
Detto questo lo lasciò solo. L’animale non smise, però, di soffiare fino a che non sentì più il minimo rumore. Quando si sentì sicuro che nessuno sarebbe passato di là senza che lui non lo avesse sentito, si sedette e pensò ad un’eventuale via d’uscita.
Divenne così aggressivo che nessun inserviente poteva avvicinarsi. In risposta, ricevevano unghiate che procuravano ferite profonde.
Anche il ghepardo, però, fu picchiato duramente e anche dalle sue ferite sgorgava in abbondanza il sangue.
Ormai la ricerca di una via di fuga si faceva disperata. L'animale però non riusciva mai a dimenticare il sapore della libertà: cacciare nella sua savana era il ricordo più nitido: dentro di sè c'era forte la sensazione di potenza che sentiva quando catturava la preda, quando correva in mezzo all'erba, quando la mattina si svegliava e annusava l'aria carica di odori, quando sceglieva il suo "pasto" e il cuore cominciava a battere forte e l'adrenalina scorreva nelle vene.
La carne invece che buttavano dentro la gabbia aveva un sapore e un odore strano: mangiava solo per non morire di fame e continuare a pensare alla libertà.
Alla fine decise per un ultimo tentativo: si nascose dietro il tronco che era stato messo nella sua gabbia per ricreare un po’ l’ambiente e aspettò l’arrivo dell’inserviente che veniva a portargli il cibo. L'uomo arrivò e il ghepardo scattò in avanti afferrandolo alla gola. Non rimase per vedere se aveva veramente ucciso la sua vittima, non era il suo cibo in quel momento: voleva solo fuggire.
Attraversò la stretta porticina rimasta aperta, verso la libertà.

(continua....)

martedì 28 luglio 2009

IL GHEPARDO


(di Lorena B.)

PRIMA PARTE

Non aveva mai visto uomini o camion. Si nascose nell'erba alta come gli aveva insegnato sua madre. Cominciò a sentire odori strani, che colpivano le sue narici. Un odore che proveniva dall'interno di un camion lo fece starnutire. Era capitato anche a lui durante la digestione di essersi svuotato dell'aria che aveva dentro la pancia, ma non aveva mai fatto fumo nero come quella cosa lì davanti.
Stava fermo aspettando il momento giusto per attaccare. Continuava a pensare che non c'erano mai stati nel suo territorio oggetti così strani. L'odore soprattutto, gli odori erano diversi da tutti gli altri.
E poi quegli animali che erano scesi da quelle cose così grosse, molto più grandi di tutto quello che conosceva, non correvano, non si nascondevano: non sentiva l'odore del sudore, della paura come nelle gazzelle. Gli occhi non guardavano intorno attenti, le gambe i muscoli non erano tesi pronti a correre per scappare. Non udiva nemmeno i battiti veloci dei loro cuori, come quando i piccoli gnu brucavano vicini alle madri, ma impauriti da quell'erba così alta che impediva loro di vedere lontano.
Era lì da qualche ora, ed era risalito sul suo albero: non si muoveva, osservava e basta. Ricordò come era felice quella mattina appena si era svegliato. Il primo pensiero era stato di contemplare dai rami la pianura intorno: il risveglio delle mandrie alle prime luci dell'alba, i primi rumori della giornata che cominciava, i belati, i muggiti e perchè no anche i ruggiti degli altri felini che si preparavano per la caccia. Quest'anno poi non c'era stato nessun incendio, e le femmine delle zebre, antilopi e gazzelle avevano partorito molti piccoli. A tutti dava l'impressione che anche il caldo fosse meno opprimente e la savana aveva alberi e cespugli ricchi di foglie verdi per tutti gli erbivori che volevano stanziare lì in quel momento. Il numero enorme di queste mandrie aveva attirato anche molti più carnivori degli anni precedenti, ma a lui non davano noia: c'era cibo per tutti. Niente lo avrebbe potuto turbare, niente fino a quella mattina, quando la sua quiete era stata interrotta.
Il giovane ghepardo si era svegliato con una gran fame. Si era acquattato tra l’erba alta, osservava i movimenti di un branco di zebre che pascolava pochi metri più avanti, cercando di individuare l’animale più debole. Dopo aver guardato in ogni direzione, individuò un cucciolo che trotterellava accanto alla madre.
Si leccò i baffi e spostò il peso sulle zampe posteriori, pronto a scattare al momento opportuno. Improvvisamente, come un fulmine, schizzò in avanti lanciandosi in una folle corsa verso quel minuscolo animale. In un istante il branco si sparpagliò e in poco tempo il cucciolo si trovò separato dalla madre e dagli altri. Il ghepardo si gettò su di lui e gli azzannò la gola. Bastò qualche istante, perchè il piccolo si accasciasse a terra, privo di vita.
Lo trascinò all’ombra di un albero per consumare il suo pasto. Quando fu sazio si arrampicò sui rami a digerire. Da lì aveva un’ampia visuale della pianura dov’era nato e cresciuto. Il branco di zebre si era nuovamente riunito e aveva ricominciato a pascolare, come se non fosse successo nulla. La vita doveva continuare e la morte di uno solo, che fosse piccolo o vecchio, non importava: dava la possibilità agli altri di vivere qualche ora in più, fino a quando qualche altro felino avesse avuto fame e quindi la paura della caccia li avesse nuovamente fatti scappare per salvarsi. Si fece più attento: un branco di gazzelle stava per essere attaccato su più lati da sei leonesse.
All’improvviso, uno stormo di uccelli si alzò in volo e all’orizzonte apparvero due enormi camion e una jeep che giunsero nello spiazzo pochi metri dopo il branco di gazzelle, che fuggì rovinando la caccia delle leonesse. Ne scesero quattro uomini: il primo basso e tarchiato, il secondo più alto, il terzo con dei baffetti neri e pochi capelli e il quarto molto giovane, biondo e muscoloso. Altri uomini di colore uscirono saltando dai camion: sembrava che guardassero e si muovessero anche loro come un branco.

(continua....)

Gran Paradiso



Foto by Indi

Gran Paradiso


Fioritura di muschio