SOLO QUELLI CHE SONO COSI' FOLLI DA PENSARE DI CAMBIARE IL MONDO, LO CAMBIANO DAVVERO (A.Einstein)

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martedì 28 febbraio 2023

L'Antiminsio

 L'Antiminsio è un oggetto liturgico usato sia nella Chiesa Cattolica che in quella Ortodossa, ma con alcune differenze nell'uso e nella forma.



Storia e Origine:

L'Antiminsio ha avuto origine nell'antica liturgia cristiana orientale e viene utilizzato come una sorta di "tovaglia sacra" durante la celebrazione eucaristica. Iniziale, era costituito da una semplice tovaglia di lino o cotone che veniva posta sull'altare durante la celebrazione.

Nel corso del tempo, tuttavia, l'Antiminsio si è evoluto fino a un momento liturgico molto importante, con una forma e una funzione specifica. Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio è una specie di copertura dell'altare, mentre nella Chiesa Cattolica è un tessuto di dimensioni più ridotte rispetto a quel ortodosso e via posto sull'altare.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio è una sorta di "mini-altare" portatile che contiene le reliquie di uno o più santi, e che viene utilizzato durante la celebrazione della Liturgia.

Il termine Antiminsio deriva dal greco antico e significa "al posto dell'altare". Questo perché, nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene utilizzato al posto dell'altare stesso quando il presbitero celebra la Liturgia in una chiesa privata di un altro permanente.

Nella Chiesa Cattolica, invece, l'Antiminsio è un tessuto di dimensioni ridotte rispetto a un quel ortodosso e via posto sul caporale. Il caporale è un altro oggetto liturgico che viene utilizzato per coprire l'altare durante la celebrazione della messa. L'Antiminsio cattolico contiene anche le reliquie dei santi, ma non viene utilizzato come mini-altare portatile.


Uso:

L'Antiminsio viene utilizzato durante la celebrazione della messa o delle varie  Liturgie come un simbolo della presenza di Cristo durante il sacrificio eucaristico. In entrambe le tradizioni, l'Antiminsio è un oggetto sacro che deve essere maneggiato con grande rispetto e venerazione.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene messo sull'altare prima dell'inizio della Liturgia. Il celebrante, il diacono e il clero presenti baceranno l'Antiminsio in segno di rispetto per le reliquie dei santi contenuti al suo interno.

Nella Chiesa Cattolica Il celebrante bacerà l'Antiminsio durante la messa con il rispetto per la reliquie dei santi contenuti al suo interno.


Alcune curiosità sull'Antiminsio:

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene conservato all'interno di un'apposita custodia che viene portata in processione durante le feste solenni.

Nella Chiesa Cattolica, l'Antiminsio è un oggetto di devozione popolare. In alcuni luoghi, si usa porta con sé un piccolo tessuto con la reliquie dei santi contenute nell'Antiminsio, a segno di protezione e benedizione.

L'Antiminsio viene preparato in modo molto accurato e solenne nella Chiesa Ortodossa. Le reliquie dei santi contenute all'interno vengono siglato all'interno dell'Antiminsio con un'apposita cerimonia chiamata antiminsia.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene utilizzato da solo durante la celebrazione della Liturgia, mentre nella Chiesa Cattolica può essere utilizzato anche durante altre celebrazioni eucaristiche.

L'uso dell'Antiminsio è un'espressione della ricchezza della tradizione liturgica e della venerazione per i santi nella Chiesa Ortodossa e Cattolica.

lunedì 27 febbraio 2023

Odore d'origano



Gli odori per me sono come i colori e le immagini.

Cominciano a infiltrarsi nella mia coscienza e dirottano il pensiero su eventi e ricordi, su sogni passati, su una vita che ora sempre idilliaca.

Questa mattina il gatto si è intrufolato nel ripostiglio dove tengo le scorte alimentari e per convincerlo ad uscire mi sono chinato sino a che il mio naso è venuto a contatto con il sacchetto dell’origano.

È stato come un pugno nel cervello, prima una macchia verde scura poi i contorni cominciano ad emergere e il ricordo di quella mattina a Piraino mentre a piedi discendevano lungo i tornati che portavano a Torre delle Ciavole. Francamente non so se il nome fa riferimento ai corvi o al pesce che si potrebbe pescare in quello specchio di mare.

Ma so che lo spettacolo allora era sublime, sublime come il viso della francesina che accompagnavo.
E l’origano era la pianta che mi ritrovai sotto il naso mentre potete benissimo immaginare cosa stessi facendo, ecco perché per me quell’odore è come una fanfara dei bersaglieri,  meglio di qualsiasi stimolate industriale.

Ma torniamo alla Torre delle Ciavole.
Su uno Sperone roccioso sul mare edificata con grossi blocchi di pietra su tre rialzi era la difesa di quel tratto di costa nel XVI secolo.

Bastavano quattro soldati a sorvegliare e con l’ausilio della campana posta accanto alla finestra del lato sud, dare l’allarme se arrivavano pirati o altri pericoli. E proprio un guardiano scatenò l’amore della principessa Maria La Bella di nome e di fatto.

Ma come tutti gli amori impossibili la tragedia incombe.

La principessa stava al castello dei Lancia e il giovane arrivava in barca sino al caricatoio  e come nelle tragedie shakespeariane si arrampicava sino al balcone. Comunicavano anche di giorno usando gli specchi, ma tutto questo non poteva passare inosservato e il fratello della ragazza senti questo amore come un affronto al suo onore e preso di rabbia architetto un agguato nei pressi dello scoglio  vicino a Brolo detto appunto “del pianto” (ploratu). Uccise il guardiano e si liberò del corpo gettandolo con un sacco nel fondo del mare.

Ancora oggi la Maria la Bella appare ai pescatori del luogo e augura loro fortuna alla pesca e li allerta in caso di cattivo tempo.

Questa storia raccontai alla bella francesina mettendogli nell’orecchio sinistro in rametto di origano fiorito.



lunedì 20 febbraio 2023

Il Cirneco dell'Etna

 




Il Cirneco dell'Etna è una razza di cane antica e affascinante, che rappresenta un simbolo di identità e di orgoglio per la Sicilia. La storia del Cirneco può essere raccontata attraverso tre diverse versioni: le rappresentazioni del Cirneco su antichi reperti archeologici, le leggende e i miti che circondano questa razza e le sue capacità di cacciatore.

La prima versione si basa sulle rappresentazioni del Cirneco su antichi reperti archeologici, come le monete dell'antica città di Segesta. Questi reperti testimoniano l'antichità della razza, la sua presenza in Sicilia già nell'antichità e la sua importanza per le popolazioni che abitavano l'isola. Inoltre, la presenza del Cirneco sulle monete suggerisce che questa razza di cane fosse considerata un simbolo di potere e di prestigio.

Ma c'è un'altra teoria che collega il Cirneco dell'Etna al dio Adrano, che era adorato nell'antica città di Adranum, situata ai piedi del vulcano Etna. Secondo questa teoria, il Cirneco sarebbe stato considerato il cane sacro di Adrano, protettore della città e della sua gente.

Adrano era un dio fittizio della mitologia siciliana, rappresentato come un giovane dalla bellezza straordinaria e dalla forza sovrumana. Secondo la leggenda, Adrano si innamorò della dea Persefone, rapita dal dio degli inferi, e si offrì di lottare contro lui per liberarla. La sua offerta fu accettata e Adrano sconfisse il dio degli inferi, ottenendo così la libertà per Persefone.

La rappresentazione del dio Adrano su antichi reperti archeologici è molto simile alla descrizione che ci viene data del Cirneco dell'Etna: un cane snello, forte, agilissimo e con un fiuto infallibile. Secondo la teoria che collega il Cirneco al dio Adrano, questi cani sarebbero stati considerati un dono divino, in grado di proteggere la città dall'ira degli dei e dai pericoli della natura.

Inoltre, la presenza del Cirneco sulle monete dell'antica città di Segesta suggerisce che questa razza di cane fosse considerata un simbolo di potere e di prestigio. Probabilmente, il Cirneco era considerato un cane di caccia pregiato e costoso, che solo i più facoltosi potevano permettersi di avere.

La fusione di queste tre versioni ci permette di apprezzare appieno il fascino e la bellezza di questa razza di cane. Il Cirneco dell'Etna è molto più di un semplice cane da caccia: rappresenta un pezzo della storia e della cultura siciliana, che si può vedere nelle sue antiche rappresentazioni, nelle leggende e nei miti che lo circondano. Inoltre, le sue capacità di cacciatore lo rendono un compagno ideale per chi ama la natura e la caccia.




venerdì 17 febbraio 2023

Angelo Musco: il comico siciliano che ha conquistato l'Italia

 


Angelo Musco è stato uno dei più grandi comici siciliani del 1900. Nato a Palermo nel 1872, Musco ha lasciato un'impronta indelebile nella cultura popolare dell'isola e in tutto il panorama del teatro italiano.

La sua carriera artistica si è svolta principalmente nel teatro dialettale siciliano, un genere che in quel periodo stava prendendo sempre più piede nella cultura popolare dell'isola. Musco ha debuttato sulle scene teatrali nel 1890, all'età di 18 anni, e da subito si è fatto notare per il suo talento e la sua versatilità.

Nel corso della sua carriera ha interpretato molte commedie e drammi, lavorando con i maggiori autori teatrali del suo tempo, tra cui Luigi Capuana, Giovanni Verga e Nino Martoglio. La fama di Musco è cresciuta esponenzialmente a partire dal 1908, quando ha debuttato al Teatro Politeama di Palermo con la commedia "La signorina Felicita". Questo spettacolo è stato un enorme successo, tanto che Musco è stato presto chiamato a recitarlo in tutta Italia, riscuotendo ovunque un grande successo di pubblico e di critica.

Musco era un attore dalla grande capacità mimica e gestuale, che sapeva trasmettere le emozioni e i sentimenti dei personaggi che interpretava con grande intensità. La sua comicità, basata soprattutto sulle espressioni facciali e sulle cadenze del dialetto siciliano, era irresistibile per il pubblico, che si divertiva enormemente ad assistere alle sue performance.

Tra le sue interpretazioni più celebri si ricordano quelle in "Il berretto a sonagli" (1910) di Luigi Pirandello, "La cena delle beffe" (1919) di Sem Benelli e "I giganti della montagna" (1937) di Luigi Pirandello. Musco ha saputo interpretare con grande maestria sia i personaggi comici che quelli drammatici, dimostrando una grande sensibilità e una grande versatilità artistica.

Musco è stato anche un grande innovatore del teatro dialettale siciliano, introducendo nuovi elementi di modernità e di novità nei suoi spettacoli. Ha saputo infatti sperimentare nuove forme di comicità, introducendo elementi di satira e di critica sociale nei suoi testi.

La sua eredità artistica è ancora oggi molto preziosa per la cultura siciliana e per l'intero panorama del teatro italiano. Angelo Musco è stato infatti uno dei più grandi interpreti della cultura popolare siciliana del 1900. Grazie alla sua straordinaria maestria artistica e alla sua comicità irresistibile, ha saputo conquistare il pubblico di tutta Italia, diventando uno dei più grandi comici del suo tempo.

La sua importanza nel panorama artistico italiano è stata riconosciuta anche dai maggiori intellettuali del suo tempo. Uno di questi è stato il poeta e scrittore siciliano Ignazio Buttitta

mercoledì 1 febbraio 2023

La Fontana del Mascherone (storie di Roma)




La Fontana del Mascherone sorge nella pittoresca Via Giulia a Roma, attirando l'attenzione di turisti e residenti da secoli. Costruita nel 1574, la fontana è un esempio dell'arte barocca e il suo design unico, che mostra un mascherone scultoreo, ha generato molte storie e leggende nel corso degli anni. Una delle leggende più diffuse sostiene che la fontana sia stata costruita su un antico pozzo che una volta alimentava le terme dell'antica Roma. Il mascherone rappresenterebbe un demone che è stato evocato dalle acque del pozzo e che possiederebbe chiunque avesse gettato monete nel pozzo. 

La gente diceva che la fontana era maledetta e che chiunque avesse disturbato il demone avrebbe dovuto affrontare le sue conseguenze. Ma non tutti erano spaventati dal mascherone. Alcune persone dicevano che la fontana fosse stata costruita per nascondere una sorgente d'acqua preziosa che alimentava le terme. Il mascherone sarebbe stato un guardiano che proteggeva l'acqua dalle persone malvagie e che avrebbe concesso solo a coloro che erano degni di riceverne i benefici.

Non importa quale delle due leggende sia vera, la Fontana del Mascherone è diventata un'icona della città e un luogo popolare per i turisti. Ancora oggi, la fontana viene visitata da migliaia di persone ogni anno, che vengono attirate dalla sua bellezza unica e dalla storia che la circonda. E anche se le leggende potrebbero non essere verificate, resteranno sempre un'interessante parte della storia della Fontana del Mascherone.

giovedì 10 febbraio 2022

Vecchie Truffe - QUATERNA SECCA

 Spulciando nell'archivio del giornale La Stampa.

Nella pagina 4 del Numero pubblicato il 10 Luglio 1904
si può leggere e apprezzare questa, forse per l'epoca, nuovo tipo di truffa.

Link all'archivio





riporto il testo 

Dopo il silenzio di 20 anni!!

Fra pochi giorni compiono ben venti anni in cui il celebre matematico Prof. DE ROBERTIS, spargendo la luce e la gloria nel mondo, diede all'estrazione di Napoli del 26 Luglio 1884 la grandiosa e memorabile vincita della QUATERNA SECCA con i numeri 12 14 52 81, vincita che inondò il mondo dì meraviglia e di stupore tanto più perché preannunziata da avvisi nei principali giornali d’Italia mercè i quali il Prof. DE R0BERTIS spronava tutti di avvalersi di quel colpo di fortuna, tanto raro nella vita, mentre se non ne avessero profittato avrebbero dovuto aspettare altri venti anni, perché solamente dopo tale periodo di tempo la regola avrebbe dato un'altra vincita di quaterna secca. Chi poteva allora assicurarci signori, che fossimo vissuti altri vent’anni e di giorno in giorno a lottare continuamente con la vita? Edotti da questa ragione, tutti allora profittarono di quel momento, di fortuna, e all'estrazione dì Napoli del 26 Luglio 1884 si ebbe la grande vittoria di QUATERNA SECCA che tuttora si ricorda ancora.,.
Signori! Iddio, quell'Ente supremo che tutto regge nella vita. Egli che dispone di tutti e di tutto, questo Spirito Eterno dà all’uomo la scienza mediante la quale si può penetrare nei più occulti misteri, ha mantenuto in vita il Prof. DE RODERT1S, al quale diede il mezzo come creare nella vita dell'uomo un'ora di grandezza e di prosperità ed egli che venti anni or sono al 26 Luglio 1884 diede già una prova indimenticabile della sua potenza matematica orar marcò la stessa regola all'estrazione di Napoli del 23 Luglio 1904 darà a tutto il mondo un'altra vincita di QUATERNA SECCA che sarà il corollario dell’altra vincita datavi. E in questi supremi momenti, signori, che ci separano dal giorno più bello della nostra vita, in questi istanti in cui si devo decidere dello sorti di tutti i vostri giorni, il Prof. DE ROBERTIS vi riporto le stesse parole di venti anni or sono, quando vi preannunziava la vincita della quaterna, e vi dico: APPROFITTATE dei mie consigli oggi che avete il mezzo e la possibilità di esser ricchi, mentre non potate sapere se noi saremo vivi nel 1924, cioè ad altri venti anni in cui la regola dovrà dare un'altra volta la vincita di QUATERNA SECCA.
Or dunque, svegliatevi una buona volta dal letargo in cui vi hanno posta tanti falsi cabalisti, camuffati da profeti e da sapienti, svegliatevi dal lungo sonno in cui a ragione vi hanno posto tanti nemici della verità, e pensate che la data più bella e memorabile della vostra vita è quella del 23 Luglio prossimo, in cui voi, dopo ben venti lunghi anni, vincerete per la ruota di Napoli un'altra QUATERNA SECCA, la più grande e bella prova matematica dell’illustre professore DE ROBERTIS. Che aspettate dunque? Dal vostro cuore sparisca ogni dubbio, dal vostro animo svanisca ogni ombra d'inganno, e se volete che il vostro portafogli sia, Sabato 23 Luglio prossimo gonfio di biglietti da mille non dovete far altro che richiedere il prezioso bollettino in cui è deposta la QUATERNA BECCA del Prof. DE ROBERTIS, che è il più grande e prezioso tesoro dei nostri tempi.
Con questa esortazione, signori, che è l'ultima mia parola, io finisco lasciando a voi riflettere la terribile responsabilità che avreste se vi lasciaste sfuggire un tal colpo di fortuna. Vi ripeto per l’ultima volta che il COLPO E' SICURO e il MOMENTO E’ SOLENNE! Inviate quindi a me sottoscritto, depositario o rappresentante del Prof. DE ROBERTIS, cartolina vaglia di lire DUE e cent 45, e riceverete in lettera raccomandata chiusa il bollettino contenente non solo la quaterna da avverarsi alta ruota di Napoli Sabato 23 Luglio, ma anche la relativa
regola o spiegazione, la quale dal 1884 ogni venti anni dà la vincita alla quarta estrazione di
Luglio della QUATERNA SECCA, e marcò detta regola ogni venti anni potrete da voi medesimo ricavare un’altra quaterna che Avrà, corso l’altro esito fortunato,
Le richieste le invierete a questo preciso indirizzo: Signor RAFFAELE MARINO, Borgo S. Antonio Abate, N. 242, NAPOLI.



Cambieranno i mezzi, ma le intenzioni di spennare i polli persiste nei secoli





venerdì 2 luglio 2021

Spartito per Pianoforte - Delicatezza di Ottavio De Sica op.3

Delicatezza

 Al Cavaliere Francesco Gatto Gravina

Mazurka per Pianoforte

C. e V. CARABBA 

CATANIA


Spartito  op.3 Ottavio De sica
Delicatezza di Ottavio De Sica op.3


Spartito Mazurka per pianoforte - Delicatezza



Delicatezza di Ottavio De Sica op.3


giovedì 2 aprile 2020

Almanacco di CHIARAVALLE 1952

Almanacco

Universale

del Gran Pescatore 

di CHIARAVALLE

per L'Anno del Signore (bisestile) 
1952
VII della repubblica Italiana









Almanacco pag.57 Smorfia

Almanacco pag.58-59 Smorfia

Almanacco pag.60-61 Smorfia

Almanacco pag.62-63 Smorfia

Almanacco pag.64 Smorfia






mercoledì 18 marzo 2020

La cornice del Decameron: la peste


La peste

Il Trionfo della Morte è un affresco staccato (600×642 cm) conservato nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo


Gli anni della salvifica incarnazione del Figlio di Dio erano ormai 1348, quando nella egregia città di Firenze, la più bella di ogni altra in Italia, giunse la mortale pestilenza: la quale, o per influsso delle stelle o per giusto castigo di Dio contro le opere malvagie degli uomini, incominciò alcuni anni prima nelle regioni orientali e dopo averne distrutto una grande quantità della popolazione, continuò a diffondersi da un luogo all'altro senza fermarsi, fino a ingigantire verso l’Occidente. 

E poiché non si mostrava valida contro di essa alcuna scienza né alcuna esperienza umana, nonostante la città fosse stata pulita e disinfettata da funzionari pubblici incaricati di tale compito, e fosse stato vietato ai malati di entrarvi e fossero stati dati molti consigli alla popolazione sul comportamento da tenere per conservare la salute, e neppure avendo ottenuto effetto le umili preghiere fatte non una sola volta ma molte, e organizzate in pubbliche processioni, o fatte in altro modo a Dio da persone devote, quasi all'inizio della primavera dell’anno sopra detto la pestilenza cominciò a diffondersi in modo orribile manifestando in maniera straordinaria i suoi effetti orribili e dolorosi.

L’autore passa quindi a descrivere i sintomi della peste: dapprima sangue dal naso, poi i temuti bubboni, infine chiazze nere o livide in tutte le parti del corpo.

Questa pestilenza ebbe maggior forza perché attraverso il contatto fisico si estendeva dai malati ai sani, non diversamente da quanto avviene quando il fuoco viene avvicinato a cose secche o unte.

E in seguito si accrebbe la sua forza: tanto che non soltanto il toccare o lo stare insieme ai malati dava ai sani motivo di morire insieme a loro, ma perfino i panni o qualsiasi altra cosa fosse stata toccata o usata da loro sembrava che trasmettesse il contagio a colui che l’avesse toccata. 

Devo inoltre raccontare una cosa che ha dello straordinario e che, se non fosse stata vista dagli occhi di molte persone, oltre che da me, non avrei neppure il coraggio di crederla, oltre che di scriverla, pur avendola appresa da persona degna di fede. Dico dunque che la peste ebbe una tale forza nel contagiarsi da uno a un altro, che non soltanto si attaccava da uomo a uomo, ma, cosa che accadde spesso in modo evidente, gli oggetti dell’uomo che era stato ammalato o che era morto di tale malattia, se venivano toccati da un altro essere vivente che non fosse della specie umana, non soltanto veniva contagiato dalla malattia, ma dopo poco tempo moriva. Di ciò ebbi esperienza diretta, per averlo visto: infatti gli stracci di un pover'uomo, morto di questa malattia, erano stati buttati per terra in mezzo alla strada, e vi si imbatterono due porci i quali, come è loro abitudine, prima li presero col muso, poi coi denti, e li scuotevano da una parte e dall'altra sulle guance; dopo poco tempo incominciarono a rotolarsi per terra e, come se fossero stati avvelenati, caddero entrambi morti sopra quegli stracci che avevano sbattuto qua e là.

Da quelle cose e da altre simili nacquero diverse paure e fantasie in quelli che rimanevano vivi, e quasi tutti mostravano di avere un unico scopo assai crudele: quello di evitare e di sfuggire gli infermi e le loro cose, e così facendo ognuno credeva di acquistare la salvezza.
C’era qualcuno che credeva che il vivere con moderazione e guardarsi da ogni eccesso fosse molto utile per resistere a un così grave malanno, e raccoltosi in gruppo, vivevano separati da tutti gli altri, e rinchiudendosi in quelle case dove non ci fosse alcun malato e dove potessero vivere meglio, prendendo cibi molto delicati e ottimi vini e astenendosi da ogni attività sessuale, senza voler sentire parlare di morte e di malati e malattie, passavano il tempo suonando o in altre attività che potessero recar loro piacere.

Altri, pensando diversamente, affermavano che il bere e il godere e l’andare in giro cantando e divertendosi e soddisfacendo ogni proprio desiderio e ridere e beffarsi di ciò che avveniva, fosse medicina certa a tanto male; e non contenti di affermarlo lo mettevano in pratica per quanto potevano, andando di giorno e di notte ora in una ora in un’altra taverna, bevendo senza regola e senza misura, e facendo ciò più nelle case degli altri che nelle proprie, appena venissero a sapere che vi avvenivano cose che potevano piacergli o soddisfarli.

E potevano fare ciò senza preoccuparsi perché ciascuno, come se non vi dovesse più vivere, lasciava nella trascuratezza sé e le sue cose, e le case erano divenute di tutti, e così le usavano gli estranei, se ci capitavano, come le avrebbe usate il loro padrone; e con questi propositi bestiali fuggivano sempre gli infermi quanto più potevano.

In una così grande afflizione e stato miserevole della nostra città anche la reverenda autorità delle leggi divine e umane era caduta in disprezzo anche perché coloro che dovevano farle osservare erano tutti morti o malati o rimasti senza domestici, così che non potevano dedicarsi alle loro occupazioni ordinarie; per questa ragione a ciascuno diventava lecito tutto quello che riusciva a fare. 

Molti, tra questi due estremi, usavano una via di mezzo, non limitandosi nel bere e nel mangiare quanto i primi né lasciandosi andare come i secondi, ma usavano le cose a sufficienza secondo l’esigenza dei bisogni naturali e senza rinchiudersi andavano in giro tenendo in mano chi fiori, chi erbe profumate e chi diversi aromi di spezie orientali, e portandosele spesso al naso, giudicando che fosse cosa ottima tonificare il cervello con simili odori, dato che l’aria era tutta impregnata e puzzolente del fetore dei morti, delle malattie e delle medicine.

Alcuni erano spinti da un sentimento più crudele, come se per caso fosse più sicuro fuggire davanti ad esso, visto che non vi era nessuna medicina né alcun rimedio efficace contro il male; e spinti da questo pensiero, non curandosi d’altro se non di se stessi, abbandonarono in gran numero la propria città, le proprie case, i loro parenti e le loro cose, e 6 se non di sé, assai e uomini e donne abbandonarono la propria città, le proprie case, i lor luoghi e i lor parenti e le lor cose, e cercarono l’altrui o almeno il lor contado, quasi l’ira di Dio a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza non dove fossero procedesse, ma solamente a coloro opprimere li quali dentro alle mura della lor città si trovassero, commossa intendesse; o quasi avvisando niuna persona in quella dover rimanere e la sua ultima ora esser venuta. si diressero verso quelle degli altri o almeno verso la campagna, come se l’ira di Dio non venisse a punire le iniquità degli uomini con quella pestilenza là dove si trovavano, ma s’indirizzasse solo contro chi restava dentro le mura dalla città; o quasi ritenendo che nessuna persona dovesse rimanervi e che in tal modo non fosse arrivata l’ora della morte.

 Il testo prosegue dicendo che le persone rimaste in città venivano abbandonate da tutti, tranne che dai servitori, avidi di guadagno, i quali tuttavia li guardavano morire senza assisterli, e spesso, per impadronirsi delle loro cose, si contagiavano e morivano a loro volta. Si facevano poi i funerali senza accompagnamento né seguito. Non bastavano più neanche i becchini per seppellire i morti, ed ecco spuntar fuori un’altra categoria di “beccamorti” che senza le dovute cerimonie portavano i morti nella fossa più vicina. Infine incominciò ad esserci più gente morta che viva, e la città fu tutta piena del fetore dei cadaveri abbandonati per via, mentre la gente moriva nelle case o per le strade senza nessuna assistenza. 

G. Boccaccio, Decameron


http://scuolabottega.org/wp-content/uploads/2016/07/Boccaccio-Decameron.pdf




Approfondimenti:

La peste nella letteratura