La Sicilia Sommersa: Il Riso Perduto dell'Isola che non ti Aspetti
C'è una Sicilia che non trovi nelle guide. Una Sicilia d'acqua e di nebbie mattutine, di campi allagati che riflettevano il cielo azzurro come specchi. Non è un sogno: è la storia vera e dimenticata di quando l'isola coltivava riso.
Le Risaie dei Borbone
Immagina la Piana di Catania, oggi distesa di agrumi e coltivazioni intensive. Nel Settecento e per gran parte dell'Ottocento, qui, dove il Simeto portava vita, ondeggiavano distese verdi di riso. Lentini e Paternò erano i suoi santuari. I "risinari", con i piedi nell'acqua per ore, erano braccianti e spesso donne, le cui vite erano segnate dalla fatica e da un'ombra costante: la malaria.
Perché coltivare riso significava creare acquitrini. E gli acquitrini significavano zanzare. E le zanzare significavano febbre, quella terribile "mal'aria" che decimava le campagne e rendeva fiacche intere generazioni. Era un paradosso straziante: una coltura che nutriva e, allo stesso tempo, uccideva.
Il Profumo degli Agrumi e la Legge che Cancellò Tutto
Poi, arrivò l'Unità d'Italia. Con essa, arrivarono leggi severe di "bonifica igienica". Le risaie, considerate focolai di pestilenza, furono bandite. Vietate vicino ai centri abitati. Ma non fu solo la legge a sconfiggere il riso siciliano.
Fu il profumo.
Il profumo dei fiori d'arancio e di limone, che prometteva ricchezze ben più grandi.
Mentre il Nord Italia meccanizzava le sue risaie, la Sicilia scoprì l'oro giallo e rosso: gli agrumi. Per un proprietario terriero, trasformare una risaia malsana in un agrumeto profumato e redditizio, i cui frutti sarebbero finiti sulle tavole di Londra e New York, non era una scelta. Era un obbligo economico. Era il futuro.
Così, silenziosamente, le acque furono drenate. I campi allagati lasciarono il posto a ordinati filari di aranci e limoni. Il rumore delle zanzare fu sostituito dal canto delle cicale. La Sicilia del riso, con le sue fatiche e le sue miserie, ma anche con il suo paesaggio unico e malinconico, scivolò nella memoria. E poi, nell'oblio.
Una Traccia nel Piatto: le Crispelle
Oggi, di quell'epoca, non resta quasi nulla. Forse, solo un'eco lontana in qualche piatto della tradizione più ostinata. Le Crispelle di riso, soffici frittelle nate per non spregare un singolo chicco, sono l'ultimo, dolente monumento a quella storia. Sono il ricordo in forma di cibo di un lavoro estenuante, trasformato in qualcosa di buono per i figli. Sono il sapore di una memoria che resiste nell'umile splendore della frittura.
È la storia di una Sicilia che per sopravvivere ha dovuto cancellare una parte di sé. Una Sicilia sommersa, che aspetta solo di essere ricordata ogni volta che addentiamo una crispella, calda e fragrante.
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