(di Lorena B.G.)
QUARTA E ULTIMA PARTE
Andarono a vivere nella stessa casa.
La pace però non durò molto. Lei si accorse che qualcosa stava cambiando ogni giorno, qualcosa in lui era peggiorato.
Smise di andare allo studio e convinse anche lei a rimanere a casa.
Meno male che i figli continuarono le cause senza opporsi, anzi sembravano quasi sollevati che il padre non ci fosse più.
All'improvviso in momenti banali creava situazioni assurde di scontro, sempre per episodi di gelosia: inutili, inconsistenti, anche quando erano in casa da soli, magari a tavola.
Aveva cominciato a bere. Pretendeva che nel frigorifero ci fosse sempre della vodka. All'inizio una bottiglia, poi un giorno aprì il frigorifero e ne trovò cinque.
Si spaventò: forse quando la moglie e i figli non opposero resistenza doveva capire che c'era qualcosa che non andava e che loro erano contenti che lui si allontanasse.
Cominciò a vivere notti di ansia e panico, chiusa nella camera da letto dopo che lui aveva bevuto e dopo che una volta l'aveva picchiata.
Ebbe paura di passare una vita così.
E riaffiorarono i soliti dubbi che tanto l'avevano attanagliata negli anni precedenti: problemi oggettivi di differenza d'età, difficoltà ad avere figli, i suoi genitori contrari che l'angosciavano, tutti che anche se non conoscevano la realtà nascosta della loro storia si vedeva che non erano contenti.
Voleva davvero affrontare tutto questo?
Ritornò dalla psicoterapeuta: ricominciò l'assunzione dei farmaci.
Nella sua vita stava precipitando tutto, se prima non era felice e ossessionata dai sensi di colpa, adesso doveva vivere una realtà che non le lasciava scampo.
Aumentò da sè il dosaggio dei farmaci che le aveva prescritto il dottore. Passava la maggior parte delle ore intontita e a letto.
Trascurava se stessa: si vedeva dal suo aspetto: vestiti non stirati, anche con macchie, capelli poco curati e unghie...le unghie se le mangiava, si vedevano appena.
Prima veniva additata dalle sue colleghe d'ufficio per la sua eleganza e per la cura della sua persona. Molte la invidiavano perchè riusciva ad essere sempre in ordine anche la sera dopo una dura giornata di lavoro.
Un giorno lei cercava un bicchiere d'acqua per ingerire le sue compresse, lo trovò sul tavolo di cucina. Senza pensarci due volte bevve tutto d'un fiato per accorgersi subito che non acqua ma vodka.
Pochi minuti dopo la colse un senso di beatitudine che non aveva provato finora. Si addormentò così sul divano per alcune ore.
Quando si svegliò rimpianse quell'euforia che aveva avuto prima di dormire: cominciò anche lei a bere.
Almeno iniziò a ingerire ansiolitici e vodka: un cocktail spaventoso.
Cadde in uno stato di eccessiva sonnolenza.
Quando si alzava sembrava una drogata in cerca di una dose, spesso non si accorgeva nemmeno di dove era e si sdraiava lì a dormire.
Il letto, la poltrona, la vasca da bagno, il pavimento: ogni luogo era buono.
I genitori ormai erano disperati: la madre andava ogni tanto a casa per pulire un po', soprattutto per togliere le bottiglie che ormai erano dappertutto.
Mentre lui ubriaco stava sempre in una poltrona e con la bottiglia in mano, lei invece sembrava un animale.
Girava per casa con una dose eccessiva di farmaci in tasca, la custodiva gelosamente e la toccava sempre come se avesse paura che qualcuno mentre lei dormiva gliela sottraesse.
Il cocktail che ormai s'era abituata a ingerire prima o poi avrebbe fatto sicuramente effetto nel suo organismo. E infatti un giorno la madre la trovò che vomitava sangue.
Fu portata subito in ospedale e le riscontrarono un'emorragia gastrointestinale.
Dopo qualche giorno fu dimessa.
I suoi genitori, le sue amiche insisterono perchè andasse a casa con loro e non tornasse più da "quell' "ubriacone", come lo definirono.
Ma ormai questo amore era "tossico" come aveva detto il suo amico tanto tempo prima: dipendeva dall'alcool e dai farmaci come ormai dipendeva dalla presenza di lui.
Ritornando a casa le sembrò di poter ricominciare daccapo, poter iniziare una nuova vita: forse aveva capito che stava sbagliando e voleva recuperare: basta farmaci, basta alcool e da ora in poi avrebbe aiutato anche lui a smettere di bere.
Nei giorni seguenti con pazienza diminuendo piano piano le dosi lo riportò ad uno stato di lucidità tale che finirono a letto. Si amarono come i primi giorni, almeno questo sembrò a lei, ma lui ormai era solo un guscio vuoto e tutto quello che l'aveva fatta innamorare non c'era più.
Le sue mani, quelle mani che quando l'abbracciavano sapevano sempre darle piacere, la stringevano così forte che le lasciarono dei lividi. Furono rapporti violenti, crudeli, quasi animaleschi. Niente di tutto l'amore e la tenerezza che c'era stato i primi tempi.
Tutto quello che lui faceva la spaventava, ma non riusciva a trovare la forza per andare via.
L'alimentava la speranza che tutto cambiasse, che se lei gli avesse dimostrato il suo amore rimanendogli accanto lui sarebbe cambiato, sarebbe tornato l'uomo che l'aveva sedotta.
Andò avanti così per qualche settimana, fino a quando un giorno ritornò a casa dopo che era uscita per prendere il pane e lo trovò ancora una volta ubriaco con la bottiglia in mano.
Era seduto sulla poltrona le gambe aperte e le braccia penzoloni in mezzo che reggevano la bottiglia. Alzò appena gli occhi, ma lei notò subito che lo sguardo era cattivo.
Non disse niente solo le si avvicinò e cominciò a picchiarla con calci e pugni. Non sapeva nemmeno dove colpiva, sembrava che qualcosa di oscuro, di maligno avesse scatenato tutta la rabbia, tutto quell' odio assurdo. Lei non si difese, lo guardava allibita come se tutto l'amore che c'era stato in quei giorni fosse stato solo un sogno, un'allucinazione.
Lei fece solo un gesto: mise le mani sulla pancia per difendere qualcosa.
E prima di svenire disse soltanto... il nostro bambino....
Quel bambino che lei avrebbe voluto, di cui aveva avuto tanta paura ad avere prima con lui, quel bambino che era stato concepito in un momento tanto particolare ...
Prima di svenire le cadde una lacrima: l'unica che aveva dentro di sè.