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venerdì 5 maggio 2023

L'ambra del Simeto - La Simetite



Simetite

L'ambra del Simeto, nota anche come Simetite, è un tesoro della Sicilia che spesso viene sottovalutato e poco conosciuto, nonostante la sua bellezza e la sua storia millenaria.

Questa preziosa resina fossile, che si presenta sotto forma di gocce, pezzi irregolari o sferiche, è stata estratta per secoli in diverse zone della Sicilia, ma è particolarmente legata alla valle del Simeto, da cui prende il nome.

La Simetite è una resina fossile che si è formata circa 50 milioni di anni fa, a seguito di una serie di processi geologici che hanno coinvolto piante di conifere. La resina fu sepolta sotto strati di sedimenti, subendo un processo di fossilizzazione che ha dato origine all'ambra.

L'ambra del Simeto si presenta in diverse sfumature di colore, dal giallo al marrone scuro, e può contenere inclusioni di piccoli insetti, foglie, ramoscelli e altri materiali organici. Grazie alle sue caratteristiche, l'ambra del Simeto è molto apprezzata in gioielleria e nella produzione di oggetti d'arte e di antiquariato.

Inoltre, l'ambra del Simeto è stata usata per secoli nella medicina tradizionale come rimedio contro le infiammazioni, i dolori articolari e le malattie respiratorie. Secondo alcune teorie, l'ambra sarebbe in grado di liberare ioni negativi, che avrebbero un effetto benefico sull'organismo umano. Tuttavia, va sottolineato che l'efficacia dell'ambra come rimedio medico non è stata scientificamente dimostrata.

Inoltre, alcuni rimedi omeopatici contengono estratti di ambra, utilizzati per alleviare i sintomi come ansia, stress e insonnia. Anche in questo caso, va sottolineato che l'efficacia dell'ambra come rimedio omeopatico non è stata dimostrata scientificamente.

In generale, è importante ricordare che l'utilizzo di rimedi naturali deve essere sempre valutato con attenzione e sotto il controllo di un medico. Inoltre, l'ambra non può sostituire una terapia medica appropriata.

In conclusione, l'ambra del Simeto è un tesoro della Sicilia che merita di essere conosciuto e valorizzato, non solo per la sua bellezza e la sua storia millenaria, ma anche per le sue possibili applicazioni artistiche e industriali. Tuttavia, va sottolineato che l'efficacia dell'ambra come rimedio medico non è stata scientificamente dimostrata e che l'utilizzo di rimedi naturali deve sempre essere valutato sotto il controllo di un medico.

martedì 28 febbraio 2023

L'Antiminsio

 L'Antiminsio è un oggetto liturgico usato sia nella Chiesa Cattolica che in quella Ortodossa, ma con alcune differenze nell'uso e nella forma.



Storia e Origine:

L'Antiminsio ha avuto origine nell'antica liturgia cristiana orientale e viene utilizzato come una sorta di "tovaglia sacra" durante la celebrazione eucaristica. Iniziale, era costituito da una semplice tovaglia di lino o cotone che veniva posta sull'altare durante la celebrazione.

Nel corso del tempo, tuttavia, l'Antiminsio si è evoluto fino a un momento liturgico molto importante, con una forma e una funzione specifica. Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio è una specie di copertura dell'altare, mentre nella Chiesa Cattolica è un tessuto di dimensioni più ridotte rispetto a quel ortodosso e via posto sull'altare.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio è una sorta di "mini-altare" portatile che contiene le reliquie di uno o più santi, e che viene utilizzato durante la celebrazione della Liturgia.

Il termine Antiminsio deriva dal greco antico e significa "al posto dell'altare". Questo perché, nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene utilizzato al posto dell'altare stesso quando il presbitero celebra la Liturgia in una chiesa privata di un altro permanente.

Nella Chiesa Cattolica, invece, l'Antiminsio è un tessuto di dimensioni ridotte rispetto a un quel ortodosso e via posto sul caporale. Il caporale è un altro oggetto liturgico che viene utilizzato per coprire l'altare durante la celebrazione della messa. L'Antiminsio cattolico contiene anche le reliquie dei santi, ma non viene utilizzato come mini-altare portatile.


Uso:

L'Antiminsio viene utilizzato durante la celebrazione della messa o delle varie  Liturgie come un simbolo della presenza di Cristo durante il sacrificio eucaristico. In entrambe le tradizioni, l'Antiminsio è un oggetto sacro che deve essere maneggiato con grande rispetto e venerazione.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene messo sull'altare prima dell'inizio della Liturgia. Il celebrante, il diacono e il clero presenti baceranno l'Antiminsio in segno di rispetto per le reliquie dei santi contenuti al suo interno.

Nella Chiesa Cattolica Il celebrante bacerà l'Antiminsio durante la messa con il rispetto per la reliquie dei santi contenuti al suo interno.


Alcune curiosità sull'Antiminsio:

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene conservato all'interno di un'apposita custodia che viene portata in processione durante le feste solenni.

Nella Chiesa Cattolica, l'Antiminsio è un oggetto di devozione popolare. In alcuni luoghi, si usa porta con sé un piccolo tessuto con la reliquie dei santi contenute nell'Antiminsio, a segno di protezione e benedizione.

L'Antiminsio viene preparato in modo molto accurato e solenne nella Chiesa Ortodossa. Le reliquie dei santi contenute all'interno vengono siglato all'interno dell'Antiminsio con un'apposita cerimonia chiamata antiminsia.

Nella Chiesa Ortodossa, l'Antiminsio viene utilizzato da solo durante la celebrazione della Liturgia, mentre nella Chiesa Cattolica può essere utilizzato anche durante altre celebrazioni eucaristiche.

L'uso dell'Antiminsio è un'espressione della ricchezza della tradizione liturgica e della venerazione per i santi nella Chiesa Ortodossa e Cattolica.

giovedì 30 gennaio 2020

Pagine da "Almanacchi Regionali Bemporad per i ragazzi" - Mario Rapisardi


Almanacchi Regionali Bemporad per i ragazzi




 
pag,171
I GRANDI SICILIANI
Mario Rapisardi.
(1844-1912).
Catanese. Scrisse poemi e liriche, fresche, impetuose, possenti. Fra i suoi poemi eccelle il Giobbe dove sono squarci di biblica bellezza. Ma le Poesie religiose e i Poemetti racchiudono le cose più belle e più perfette del Rapisardi. Nox Alta quies, Dopo il temporale e tante altre poesie dei due preziosi volumi sono delle vere gemme, rare per puro splendore di forma e per singolare altezza di pensiero.

.... dai suoi scritti:
«E se alle vostre piccolette gare
agli odi vostri, alme rissose, io penso
più che di sdegno di pietà sorrido»
(Mario Rapisardi)
Quando ci diciamo cittadini del mondo, non intendiamo che l'amore della patria sia morto nell'animo nostro, vogliamo dire piuttosto che il nostro loco natío è per noi diventato ampio quanto la terra, che tutte le patrie si sono fuse in una sola, che il nostro amore si è diffuso a tutto il genere umano. 
Pensieri e giudizi, III-XI

Popol, che per amor d'ozio e di pane
Tien fede all'oppressore, è popol cane. 

Chi piaggia il vulgo reo, de' buoni a danno,
Servo è che aspira a diventar tiranno.

Tu scrivi che il Carducci è un'ardua quercia
Che i fruttiferi rami all'aria spande….
E chi tel può negare, anima lercia,
Se ingrassato ti sei con le sue ghiande?
Frecciate Anima

Conosci tu il paese dei floridi aranceti
che ha su cento abitanti settanta analfabeti?
il paese poetico, dall'aure profumate
che riceve le rondini a suon di fucilate?
il paese del sole, il paese dei sogni,
dove il popol beato fa in piazza i suoi bisogni?
Dove assessor di pubblica igiene e uffizïali
di pubblica nettezza sono i polli e i maiali?
Dove sotto lo sguardo di mille indifferenti
sono esposte le bestie a' più crudi tormenti?
Atlantide - Mario Rapisardi

giovedì 16 gennaio 2020

Pagine da "Almanacchi Regionali Bemporad per i ragazzi"






L’ora soave.

Ora dolce di pace, ora soave
è l’ora del tramonto.... La campana
de la chiesa del borgo, umile e piana,
suona — a rintocchi — l’Ave....
E tu ti segni; e, tutto in te raccolto,
pieghi il compunto volto
e levi a Dio la supplice preghiera,
dolce ne 1’ora dolce de la sera....
«Ave, Maria, o Tu di grazia piena.... »
E dal cuore che a Dio chiede perdono,
dilaga intanto un’ondata serena,
di pace, che fa l’animo più buono....
ALESSANDRO CAJA.



Lu pisci binidittu.

Pisci ’ntra lu mari cci uni su’ tanti. Ma chiddu ca è binidittu è lu mirluzzu. E lu sapiti pirchì? Pirchì l’antichi vonnu diri ca porta dintra d’iddu la santuzza (l’immagine) di la Bedda Matri di lu Munti.
E comu fu ssu miraculu? mi dumannati vuàutri. Comu fu? Accussì. Ca, ’na vota, un bastimentu, vicinu a Trapani, truzzàu ’ntra un scogghiu, tanti ca si cci fici un bellu pirtusu e nun cc’era versu di’ attupparlu. L’acqua trasìa a vadduni, e ddi poviri marinara si vittiru persi. Allura chi fìciru ddi sciurtunati? S’ addinucchiàru e cuminciàru a prigari a la Bedda Matri di lu Munti, gridànnucci : —- Matruzza santa, aiutàtinni ! — A la 


Bedda Matri cci pàrsiru piatusi. E chi fici? Scinnìu di lu sò artàru, si jittàu ’mmenzu a l’unni ’ncanìati, s’ammucciàu dintra un mirluzzu e currìu ad attuppari ddu pirtusu. Accussì lu bastimentu nun fici cchiù acqua e ddi mischini si pòttiru sarvari. Eccu pirchì lu mirluzzu è binidittu e pirchì porta dintra d’iddu la santuzza di la Bedda Matri di lu Munti.

 O Bammineddu.


O Bammineddu di zùccaru duci,
Lassatimi parrari, si vi piaci.
Nun vogghiu chi taciti tanti vuci:
Vogghiu lu paradisi; beddu ’n paci.

giovedì 12 gennaio 2012

'U TISTAMENTU DI MÊ NANNAU

Pieter Bruegel il vecchio, L'asino a scuola, 1556.



'U TISTAMENTU DI MÊ NANNAU

Tri uri e 'n quartu prima ca muriu
  sintiti chi mi dissi mê nannau.
  Mi dissi: -Senti, niputeddu miu:
  biatu cu' a la scola studïau.

'Scuta a stu vecchiu c'avi spirienza
  e stampitillu na la carusanza;
  non è la strata, non è la dispenza
  ca ti pô dari anùri e maistranza.

Comu senz'acqua babbàni sú l'ervi,
  e senza pagghia lappùsi li sorvi,
  oggi, ca cchiù ci giùva e cchiù ci servi,
  senza ku studiu l'omini sû orvi.

Iu vi lu dicu a tutti: studïati,
  ca qualchi cosa ci l'àrrinisciti;
  forsi maestri non ci divintati,
  ma non ristati li scecchi ca siti. -

Chistu mi dissi, prima ca muriu,
  la bon'armuzza, sì, di mê nannau.
  Chistu iddu dissi, e chistu dicu iu:
  « Biatu cu' a la scola studïau ».


tratta da "Cunti e Canti di Sicilia" [4]
Mario Mendola e C.
Minestra Maritata 
Primu Piattu 

IMPRIMATUR
Catanae, die 30 Aprilis 1958
Can. N. Ciancio, Vic. Gen.

venerdì 30 dicembre 2011

Cernia con salsa di melograno



Il melograno è un  frutto della medicina nel senso che è una fonte infinita di ricchezze salutari, ultimamente si stanno scoprendo le sue virtù antitumorali sembrerebbe un vero killer per le cellule cancerogene.

I romani,  greci,  fenici, egizi e ebrei apprezzavano già nell'antichità oltre la bontà anche le sue qualità medicinali e molte leggende e tradizioni che lo indicano
come simbolo della vita, dell’unione e dell’amicizia.
I  Massoni lo usano come simbolo di fratellanza e solidarietà.
Nel cristianesimo rappresenta la Chiesa unita come sono uniti i suoi semi e il colore rosso rappresenta il sangue dei martiri.

Quindi ecco che voglio donarvi una ricetta per Capodanno per un futuro di grande fortuna.

Cernia con salsa di melograno

La salsa di melograno
Un melograno
Da cui estrarrete i semi facendo attenzione ad eliminare la pellicina bianca che è estremamente amara.
Se possedete una centrifuga estraetene i succo, in alternativa in un pentolino con un po' d'acqua e alcune foglie di menta cuoceteli per alcuni minuti e poi estraetene il succo con il passaverdura.
Aggiunte alcune gocce di succo di limone e delle foglioline di menta e riponetela in un contenitore chiuso in frigo.

Cuocete le fette di Cernia in una piastra e   servite con la salsa guarnendo il piatto con chicchi di melograno e foglioline di menta e delle fettine di Kiwi.

martedì 21 settembre 2010

L'edera ed il vino



Sulla rivista Storica del mese di Ottobre 2010 si trova un articolo
che fa riferimento ad un frammento di Catone il Censore,
Mi fa piacere riportarlo sul nostro blog.
Anche perchè mi ricorda mio nonno, che non aveva di
sicuro mai letto l'opera di Catone. Mi raccontò del perchè si usasse
mettere le frasche di edera come insegna per la vendita di vino.
Mi spiegò che l'edera era una "nemica/amica" del vino poichè non lo
tratteneva al contrario dell'acqua ed era per questo che chi voleva
sottolineare la bontà del proprio vino sfidava, con il segno dell'edera,
il compratore.
E anche il mio amico Santipamma aveva il suo bel bicchierino fatto con
legno di edera con cui garantiva al suo corpo di rimanere indenne
dall'acqua sua acerrima nemica..


da
De re Rustica di M. Porcius Cato
(ovvero: Liber de agri cultura  di Marco Porcio Catone detto il Censore)

Capitolo CXII
Se vuoi sapere se siasi messa dell'acqua nel vino, o no, prendi una
scodella di legno si edera, e riempila del vino, in cui sospetti
essere stato messo l'acqua. Se vi sarà acqua, tutto il vino scorrerà
fuori, e l'acqua sola resterà; poichè un vaso di legno d'edera non
contiene vino.

martedì 7 settembre 2010

Madagascar



Grazie per il ben tornato!
Spero di riuscire ad avere il tempo e la serenità mentale per  scrivere le mie sensazioni su quella terra meravigliosa e sul suo fantastico popolo.
Ora ho bisogno di riordinare le idee.

giovedì 25 febbraio 2010

LA BIDDINA (BIDDRINA)


Ciccio Cipresso, molti anni fa, era riuscito ad avere in affitto dal cavaliere Moscato, in contrada “La Monica”, sei tumuli di terra soggetti alla irrigazione benefica delle acque del fiume che scorre a pochi metri. In esso voleva far crescere dei vivai di mandorli, delle caselle di sammarinese, di lattughine fresche, di cipolle, di sedani e di tante altre verdure piacevoli del nostro ambiente.
Agricoltore operoso e instancabile, da quel terreno era riuscito a ricavarci il sostentamento suo e della sua famiglia.
I suoi due figlioli Angelo e Concetta, ormai erano passati a nozze, si erano sistemati anche loro e gli portavano i loro rampolli che si divertivano con le loro manine paffutelle a tirare la barba del nonno che rideva e li baciava appassionatamente.
Alto, quadrato, nelle sue ampie spalle, all'età di 75 anni zappava ancora, innaffiava con acqua regolarmente, ed ogni mattina, dopo aver riempito due bisacce, risaliva verso il paese portando in bottega o in piazza mercato i prodotti della terra. Viveva sempre in campagna e la domenica mattina saliva ad indossare l'abito della festa per ascoltare la Santa Messa, poi acquistava due pacchetti di trinciato forte, faceva quattro chiacchiere con i suoi coetanei in piazza, passava dal macellaio, comprava un chilo di busecca di cui era ghiotto, e ...... per quel giorno si mangiava carne ed era festa in famiglia! In tanti anni di duro lavoro quel terreno era diventato un vero giardino rigoglioso dove le ciliegie cappuccie, le nespole, le pere papali, le bifare, le noci, le arance, i gelsi bianchi e neri, scoppiavano "di salute", si ingrossavano, maturavano sotto gli occhi amorevoli di Ciccio Cipresso.
Tutti sapevano che in quel pezzo di terra la frutta non mancava mai in qualunque tempo. Era riuscito a trapiantare anche l'uva passa di Lampedusa. Tutto ciò costituiva pertanto la tentazione dei grandi e dei monelli, i quali spesso e volentieri cercavano di scavalcare il filo spinato, di aprire una breccia, lasciandovi attaccati i brandelli delle loro camiciole e rischiando di andare in galera.
Quando al governo ebbe l'idea di fabbricare la strada ferrata ed aprire proprio lì, a qualche metro di distanza dal terreno, il piazzale della stazione, nel costone della montagna, i guai di Ciccio Cipresso aumentarono, perché la gente che aspettava il treno, portandosi ai margini del piazzale, aveva, lì sotto, a un tiro di schioppo quel giardino di incanto, quell'angolo di paradiso che solleticava la gola e il ventre. Tutto ciò inchiodava il povero Ciccio notte e giorno nei suoi campi e borbottava:
- Figli di cane, la colpa non è vostra: è di quel farabutto di governo che gli è venuto in testa di far la ferrovia!
Cominciò allora ad imprecare: se tutto fosse rimasto com'era nessuno si sarebbe permesso di attentare ai prodotti del suo giardino e di farlo arrabbiare.
Acquistò allora un archibugio ad avancarica, sicuramente risalente alla battaglia di Calatafimi, ed ogni tanto, durante le notti serene lasciava scappare qualche colpo per dire alla gente malintenzionata:"Badate, qui ci sono io!", ma non ebbe mai la forza di denunciare o di sparare contro qualcuno.
- Eccellenza! Signor Maresciallo mio! Mi creda non ne posso più!- Don Ciccio che vi succede?!
- Prima che costruissero quella maledetta strada ferrata, io vivevo tranquillo nel mio vignale, perché nessuno si sognava di spingersi fino ad esso; ma oggi sono rovinato; non riesco a fermare più ne' grandi ne' piccini........e non si accontentano di mangiare a quattro ganasce, ma si riempiono lo sparato della camicia e portano tutto a casa lasciandomi con un palmo di naso. Parola d'onore, qualche volta sparo dritto e faccio venire loro qualche indigestione di lupara.... di quelle grosse.........Il Maresciallo ascoltò sorridendo lo sfogo di Ciccio Cipresso e da buon napoletano risponde:
- Guagliò.., che ti gira pe' la capa.....questa è la volta che ti faccio assaggiare le manette.
- Gesù Maria alla mia età.....!E con la mano, con profonda fede, fece la santa croce per scacciare la tentazione.
- Ma intanto come si rimedia? Me lo dica vossignoria!- Acciuffane uno, portamelo qui e la pagherà per tutti!
- É una parola eccellenza, mi ci proverò!E, più confuso che persuaso, dopo un profondo inchino, lasciò la caserma ruminando nel suo cervello chissà quali progetti.
Dopo alcuni giorni per tutto il paese si sparse come un lampo un voce che suscitò i commenti di chicchessia.
Nei caffè, nelle bettole, nei saloni si ciarlava, si commentava il fatto nuovo.
- Ma sì! te lo dico io, dieci schioppettate a dir poco…stamani all'alba!- Povero zio Ciccio..,ha fatto bene! Gli vanno a rubare la frutta...
- Ti sbagli, qui non si tratta di frutta, ma di qualcosa di più grave: anche lui è stato costretto a sloggiare dal terreno!
- La Biddina!! Capisci? La biddina…. lunga almeno dieci metri e grossa così! e nel dire ciò l'uomo forma un cerchio con le braccia
- Ma... l' hanno ammazzata?-Tu credi che quello sia un animale così stupido che si lascia accoppare facilmente?! Ma quello e' un serpente grosso, lungo che striscia tra le fratte, tra le erbe, tra le canne e fugge facilmente.
- E allora è ancora viva?!- Sicuro c'è il pericolo che salga qui in paese: è capace di ingoiare un bambino, una capra, un asino.........!
- Don Ciccio lo avete detto e lo avete fatto: che cosa e' questa faccenda delle schioppettate?
- Eccellenza qualche cosa la dovevo fare........Vossignoria mi ha aperto le braccia, e ci sono andati di mezzo un po' di polvere nera, quattro lupare, e quattro stoppacci.....
- Ma mi hanno detto che avete sparato un decina di schioppettate.
- Signor maresciallo mio, non li ho contati eravamo io e mio figlio........
- A chi avete sparato ?!- In aria, alla luna....come sempre......
-E la biddrina? -
- Eccellenza, quella è frutto della fantasia di tutti i tempi, e di tutte le epoche! Io non l'ho mai vista e nessuno in paese sa che cosa sia....
- Ma mi hanno detto che è un serpente grosso che mangia i bambini.......e' vero?
- Mi è venuta per la testa di spolverare questa leggenda e di metterla in circolazione per il paese: ho tirato qualche schioppettata per avvalorare la leggenda: sono convinto che la gente, sentendo dire che nel mio fondo c'é la biddina..... non viene a cogliere la frutta perché, credetemi, ha più paura della biddina.... che della mia lupara! Vedete.., dacché il vignale l'ho lasciato solo e l'ho abbandonato alla biddina, non c'e' stato un mascalzone che si sia permesso il lusso di cogliermi una ciliegia e finché questa favola circola.......io sono a posto!....Scusatemi quanti bambini avete?
- Quattro! Ma perché questa domanda?- risponse accigliato il maresciallo.
- Perché le ciliegie che dovevano mangiare quei mascalzoni che me le vengono a rubare, le faccio mangiare ai vostri bambini. Non vi arrabbiate.....sono buone assai! Ve ne porterò domani un panierino e vedrete che ho ragione!
S'inchinò profondamente ed uscì esclamando:
- Vostra Eccellenza mi benedica e mi sappia compatire.
- Guagliò, tu si......'na bella faccia...!!!!..
Esclamò il maresciallo ridendo di cuore.

(di GERO RINDONE da Naro)

Rivisto e corretto da Antichirimedi.

Il racconto mi è stato mandato gentilmente dal dott. Lillo Novella, funzionario dei Beni Culturali del Comune di Naro (Agrigento).